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Combattenti per la pace

di
Roberta Pizzolante

Barbara Cupisti
Vietato sognare
Rai Cinema, 2008

“Ho perso mia sorella in un attentato suicida. Tante ‘buone persone’ mi hanno proposto di vendicarmi. Non capivo come potrei sentirmi meglio semplicemente uccidendo qualcuno. Ho pensato che fosse un prezzo estremamente basso da mettere sulla vita di qualcuno, quello di sostituirla con un altro corpo. Quante persone dovrei uccidere per sentirmi meglio?”. Quando pronuncia queste parole, Elik Elhanan, ex soldato israeliano, portavoce dell’associazione “Combatants for Peace” si trova a New York, ma non ha dimenticato il conflitto che lacera Israele e Palestina. Anzi, proprio negli Stati Uniti, insieme all’ex combattente palestinese Ali Abu Awwad, uno dei leader del movimento pacifista “Al Tariq”, tenta di promuovere un’informazione più equilibrata attraverso il dialogo e la non violenza.

Questi due personaggi, così diversi ma uniti dalla scelta della resistenza pacifica, sono i protagonisti di “Vietato sognare” (Forbidden childhood), film documentario della regista Barbara Cupisti girato tra i Territori occupati e gli States e presentato il 31 marzo scorso in anteprima alla Casa del Cinema.

Girato insieme a “Madri”, vincitore nel 2008 del David di Donatello, questo documentario vuole esserne la prosecuzione ideale perché da voce ai figli, ex soldati ebrei e miliziani palestinesi che insieme cercano una soluzione al conflitto. La regista racconta la condizione dei bambini e della gioventù in Palestina, senza più sogni e speranze per il futuro (da qui il titolo del film), attraverso lo sguardo trasversale dei due protagonisti principali – il soldato israeliano e il combattente palestinese – ma anche con le storie di chi è cresciuto in ambiente militare o in una colonia, nei territori occupati o in un campo profughi. Il film alterna immagini d’archivio, a partire dalla prima Intifada, a primi piani degli intervistati mentre raccontano le loro esperienze: c’è il racconto di Zakariyah Zubeidi, leader delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa a Jenin, anche lui impegnato nella resistenza non violenta; c’è una classe di bambine che ha perso un’amica, uccisa dal fuoco israeliano, oppure un gruppo di bambini palestinesi scortati fino a scuola dai militari dello Tzahal perché rischiano di venir aggrediti dai coloni.

Il film, prodotto da Rai Cinema, ha ricevuto numerosi consensi a livello internazionale e sbarcherà allo Human Rights International Film Festival in Bahrein (1-2 maggio). In Italia sarà distribuito dall’Unione dei circoli cinematografici dell’Arci (Ucca) e rientra nelle iniziative della campagna nazionale per la pace in Palestina, perché, come spiega Paolo Beni, presidente nazionale Arci, “è necessario rilanciare un movimento popolare per la pace e i diritti umani partendo dalla costruzione di un’opinione pubblica consapevole e informata”. Proprio per questo, ha commentato Massimo D’Alema, presidente della Fondazione Italianieuropei, durante il dibattito che ha preceduto la proiezione del documentario, “un film di grande valore culturale e civile come questo, finanziato dalla Rai, dovrebbe essere visto da tutti sulle reti del servizio pubblico”. Cosa che però potrebbe non succedere, come già accaduto con “Madri”, i cui diritti sono stati ceduti da Rai Cinema a Sky tv. “Probabilmente si pensa che questo tipo di proposte viaggi meglio sulle tv a pagamento, che hanno un pubblico più selezionato, piuttosto che su quelle generaliste. Così facendo, però, non si alimenta l’offerta e non si crea la domanda da parte del pubblico”, spiega Greta Barbolini di Ucca. “A oggi non è dato sapere se il documentario sarà in programmazione sulle reti Rai. Speriamo però che la promozione nei circoli incontri il favore del pubblico e faccia percepire alla Rai il potenziale interesse dei cittadini verso questi temi”.

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