Nel 1989 entrò in vigore il bando contro il commercio di avorio proveniente dai paesi dell’Africa. I dieci anni precedenti, infatti, avevano visto ridursi la popolazione di elefanti del continente da 1.300.000 esemplari a poco meno di 600.000, a causa della caccia incontrollata. L’avorio acquisito prima dell’89 però può ancora essere commerciato, e per contrastare il bracconaggio è quindi fondamentale riuscire a distinguere il materiale acquisito legalmente da quello illegale. Un aiuto in questa battaglia arriva oggi da un nuovo metodo, presentato sulle pagine di Pnas da un gruppo di ricerca internazionale guidato da Thure Cerling, geochimico della University of Utah. Misurando i livelli di carbonio 14 radioattivo nell’avorio – risalente ai test nucleari russi degli anni ’50 e ’60 – è infatti possibile datare con estrema precisione l’anno di morte dell’animale da cui questo proviene, e scoprire quindi se precede o meno l’inizio del bando.
Ogni anno i bracconieri uccidono circa 30.000 elefanti, una cifra addirittura superiore a quella del periodo precedente all’89. Sono circa 423.000 gli esemplari rimasti, e si stima che se il massacro continuerà con questo ritmo, l’elefante africano potrebbe essere completamente estinto entro la fine del secolo. Nel 2011 inoltre i sequestri di avorio illegale hanno raggiunto un nuovo record: 39.000 kg, equivalenti a circa 6.000 elefanti morti. La domanda del materiale infatti è in aumento, e il prezzo ormai ha raggiunto gli 850 dollari al chilo.
Fiutato l’affare, alcuni dei maggiori gruppi di miliziani africani, come l’esercito di resistenza del signore in Sudan e Nord dell’Uganda, lo Shabab in Somalia e i Janjaweed del Darfur, si sono buttati nel commercio illegale di avorio, i cui proventi vengono utilizzati per comprare armi e munizioni. In questa situazione di emergenza, le forze dell’ordine americane, seconda piazza mondiale per l’avorio illegale, non riescono più a gestire un traffico che raggiunge ormai proporzioni impensabili. È quindi d’importanza fondamentale la scoperta di nuovi metodi per identificare i manufatti illegali.
Per mettere a punto il loro metodo, i ricercatori guidati da Cerling hanno dovuto per prima cosa procurarsi dei campioni di avorio su cui lavorare, impresa non facile seguendo vie legali. Con l’aiuto dello zoo di Salt Lake City e di alcune agenzie governative keniote, sono riusciti però ad avere accesso alle zanne di due elefanti: Misha, abbattuto dai veterinari dello Hogle zoo dello Utha nel 2008, e Amina, morta per cause naturali nel Samburu National Preserve, in Kenya, nel 2006. Utilizzando uno spettrometro di massa con acceleratore – strumento che permette di separare nei campioni gli isotopi rari da quelli più comuni – hanno quindi misurato i livelli di carbonio 14 alla base delle zanne.
Queste infatti crescono in modo simile al tronco di un albero, aggiungendo un nuovo anello ogni anno, e i ricercatori hanno quindi potuto misurare con precisione lo strato di avorio formatosi durante l’ultimo anno di vita degli animali. Per determinare l’anno di morte inoltre, i ricercatori hanno sfruttato un “trucco”. I test nucleari russi degli anni ’50 e ’60 hanno infatti aumentato notevolmente la quantità di carbonio 14 presente nell’atmosfera terrestre, ma poiché questo isotopo radioattivo viene assorbito dagli alberi e dagli oceani, i livelli nell’aria stanno calando molto velocemente (molto più di quanto farebbero a causa del normale decadimento radioattivo), il che permette ai ricercatori di collegare con estrema precisione la quantità di carbonio 14 presente nelle zanne con l’anno di morte dell’animale.
Verifiche effettuate su campioni provenienti da altri tipi di animali (denti di ippopotamo, corna di antilope e peli di scimmia), hanno dimostrato l’efficacia del metodo, che potrebbe ora essere utilizzato per combattere anche altri tipi di bracconaggio, come la caccia al rinoceronte africano, molto ricercato per via delle presunte proprietà medicinali del suo corno. La tecnica presenta però un difetto: tra 10-15 anni anni al massimo i livelli di carbonio 14 presenti nell’atmosfera saranno tornati normali, e non sarà quindi più possibile datare i reperti con il nuovo metodo.
Riferimenti: Pnas doi:10.1073/pnas.1302226110
Credits immagine: Thure Cerling, University of Utah