Come sta la ricerca italiana? Ecco il rapporto Anvur

(Immagine: Pixabay)

Un corpus di oltre mille pagine. Che racconta, con dovizia di particolari, numeri e grafici, lo stato di università e ricerca italiana. E traccia un quadro abbastanza impietoso, come era già successo due anni fa: è basso il numero di immatricolazioni all’università (come d’altronde emerso qualche settimana fa dai dati raccolti da AlmaLaurea), la percentuale di laureati resta molto bassa rispetto alla media Ocse e cala il numero dei docenti. Il dato confortante è che, almeno per ora, la ricerca italiana continua a confermarsi di buon livello rispetto a quella delle altre nazioni. Sono questi i punti salienti che emergono dal secondo rapporto biennale sullo stato dell’Università e della ricerca, appena presentato dall’Agenzia di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur). Ecco le conclusioni principali del rapporto.

Il sistema universitario La prima parte del lavoro dell’Anvur è incentrata sullo stato del sistema universitario, in particolare su immatricolazioni, tassi di successo e abbandono e percentuale di laureati. Negli ultimi due anni, dicono le cifre, il calo degli immatricolati osservato a partire dalla metà degli anni duemila si è stabilizzato, facendo registrare addirittura un’inversione di tendenza nell’ultimo anno, anche se piuttosto disaggregata tra nord (3,2% di iscritti in più) e sud (0,4% di iscritti in più). Secondo gli esperti, il declino globale delle iscrizioni è dovuto sostanzialmente al calo demografico,  al fatto che ci sono meno maturandi e al fatto che dalle scuole superiori arrivano più studenti stranieri (immigrati di prima generazione) che tendono a iscriversi meno all’università.ù

Gli studenti italiani, inoltre, hanno una bassa mobilità (“Altro che generazione Erasmus, commenta Andrea Graziosi, presidente Anvur), con un saldo negativo tra studenti in entrata e in uscita: la quota di universitari che trascorrono un periodo all’estero si attesta appena al 3,4% del totale. Per quanto riguarda l’esito degli studi, il rapporto evidenzia come dopo sette-otto anni dall’inizio del corso di laurea circa uno studente su due consegue il titolo, mentre il tasso di abbandono (dovuto soprattutto a studenti che provengono da istituti professionali) è pari a un terzo degli iscritti.

Uno dei punti più dolenti del rapporto è il basso tasso di laureati del nostro paese. Contrariamente al sentire comune, infatti, l’Italia è in coda alle nazioni dell’area Ocse. Si registrano circa 200mila laureati ogni anno; il tasso di ingresso all’università è pari al 41% (media Ocse: 60%) e il tasso di completamento è pari al 58% (media Ocse: 70%). Risultato: solo il 24% delle persone di età compresa tra 25 e 34 anni è in possesso della laurea, a fronte del 41% della media Ocse.

Docenti, ricercatori e investimenti
Il rapporto mette in evidenza diverse difficoltà cui si trova a far fronte il nostro sistema universitario. Prima fra tutte, la riduzione del corpo docente a seguito dei pensionamenti e dei tagli alla ricerca che impediscono nuove assunzioni di personale strutturato.

Dalla fine degli anni Novanta, il personale docente di ruolo è cresciuto a campana, raggiungendo un massimo di circa 60mila unità nel 2008 che sono poi scese del 15% fino al 2015 (poco meno di 55mila assunti) a seguito dei provvedimenti di blocco del turnover. Un dato che è la diretta conseguenza dei mancati investimenti in ricerca e sviluppo, come recentemente lamentato dal fisico Giorgio Parisi.

In particolare, la quota del prodotto interno lordo destinata alla ricerca è rimasta stabile all’1,27% nel quadriennio 2011-2014, molto al di sotto della media di Unione Europea e paesi Ocse e molto lontana dall’impegno preso nel 2007 con la firma del Trattato di Lisbona, che prevedeva di investire almeno il 3% del Pil in ricerca scientifica. La maggior parte dei fondi a disposizione di docenti e ricercatori deriva dai fondi europei, ma lo scenario è tutt’altro che roseo: per ogni euro che il nostro paese spende come contributo al settimo programma quadro, nelle tasche dei ricercatori italiani rientrano appena 70 centesimi.

La buona ricerca Fortunatamente, nonostante i fondi scarseggino sempre più, l’Italia conferma, almeno per ora, la propria tradizione di eccellenza in quanto a qualità della propria produzione scientifica. Gli esperti dell’Anvur, analizzando la banca dati SciVal di Scopus, hanno misurato che la quota di pubblicazioni scientifiche italiane si attesta (nel periodo 2011-2014) sul 3,5% del totale mondiale, con una crescita del 4% annuo (in lieve rallentamento rispetto agli anni precedenti) della produzione scientifica nazionale.

Un dato significativo, specie se si tiene conto della succitata diminuzione del personale. Oltre al numero, anche la qualità delle pubblicazioni sembra essere convincente: nel quadriennio considerato, infatti, l’impatto della produzione scientifica, misurato in termini di citazioni effettive su citazioni attese, è risultato superiore alla media dell’Unione Europea e maggiore di Francia e Germania.

Via: Wired.it

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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