Il nuovo computer più piccolo del mondo. Ma è tutta questione di definizioni

Il mini computer a confronto con un chicco di riso. Credit: Università del Michigan

Nel mondo dell’informatica anche le dimensioni contano, e non poco. In questo caso la corsa è quella alla miniaturizzazione: una sfida che in questo momento ha come protagonisti l’Ibm e l’Università del Michigan, impegnati a contendersi l’invenzione del computer più piccolo del mondo. Fino a pochi mesi fa il titolo spettava infatti al Michigan Micro Mote dell’Università americana, con i suoi 2x2x4 millimetri. Poi l’attacco di Ibm, che a marzo ha presentato un nuovissimo prototipo da un solo millimetro per lato, basato sulla tecnologia della blockchain. E infine l’ultimo capitolo (almeno per ora): dall’Università del Michigan arriva infatti un nuovo dispositivo che fissa l’asticella a soli 0,3 millimetri per lato. Sollevando però una domanda quasi filosofica: siamo sicuri che si tratti ancora di computer?

“In effetti non siamo certi che vadano ancora chiamati computer”, racconta David Blaauw, coordinatore del team che ha sviluppato il nuovo dispositivo. “Sinceramente stabilire se questi nuovi dispositivi abbiano le funzionalità minime per definirli tali è ormai più una questione di opinione che altro”. Perché? È presto detto: un normale computer può essere spento, con la sicurezza di ritrovare tutti i propri dati e il suo sistema operativo quando andremo ad accenderlo nuovamente. Ma per i nuovi microcomputer le cose non stanno così.

Tutto ha avuto inizio con lo sfidante realizzato da Ibm a marzo, un computer da un millimetro che perde però ogni dato e ogni programmazione nel momento in cui viene sospesa l’alimentazione esterna. Più che un computer, forse, un sofisticato sensore in grado di raccogliere informazioni ed eseguire operazioni molto basiche, con una potenza pari a quella di un x86 del 1990. Mettendo da parte le questioni linguistiche, i ricercatori dell’Università del Michigan hanno deciso di accettare la sfida, buttandosi a loro volta nello sviluppo di un computer sub-millimetrico.

Una sfida che li ha costretti a imitare i rivali privando il loro chip della capacità di tenere in memoria i dati durante i periodi di spegnimento. E che li ha portati a scontrarsi con alcuni problemi ingegneristici quasi insormontabili. La sfida più grande – raccontano oggi – è stata quella di riuscire a isolare il dispositivo dalle interferenze esterne. Arrivati a dimensioni così ridotte, infatti, è impossibile dotare il chip di un’antenna radio tradizionale, e tutte le comunicazioni con l’esterno devono essere eseguite trasmettendo i dati sotto forma di luce. Il case del minicomputer deve quindi essere trasparente, ma questo espone un circuito tradizionale all’interferenza prodotta dalle onde luminose, in grado di dare vita a tenui correnti elettriche in circuiti di dimensioni così ridotte.

“Abbiamo praticamente dovuto inventare un modo tutto nuovo di approcciare il design dei circuiti – sottolinea Blaauw – in modo da crearne uno che funzioni a potenza ridottissima ma che sia comunque in grado di tollerare la luce”. Inutile a dirsi, i ricercatori sono riusciti nell’impresa. Il loro dispositivo è dotato di Ram e di alimentazione fotovoltaica, sensori, ed è capace di trasmettere e ricevere informazioni. Il prototipo, presentato nel corso del Symposia on VLSI Technology and Circuits 2018, è pensato per raccogliere informazioni sulla temperatura con precisione elevatissima: il margine di errore è pari a 0,1 gradi celsius. In questa forma – spiegano i suoi inventori – con le dimensioni ridottissime e la sua biocompatibilità potrebbe aiutare a studiare l’effetto della temperatura sullo sviluppo dei tumori, un vecchio mistero che attende da anni di essere chiarito definitivamente.

Ma il design del chip permette di modificarne facilmente le proprietà, e le potenziali applicazioni sono pressoché infinite. L’unico dubbio che rimane è se si tratti, o meno, del più piccolo computer mai sviluppato. Una questione di definizioni, come abbiamo visto, che attende la risposta della comunità scientifica per essere appianata definitivamente.

Simone Valesini

Giornalista scientifico a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. Laureato in Filosofia della Scienza, collabora con Wired, L'Espresso, Repubblica.it.

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