Connessioni da Australopithecus

Il nostro cervello ha lo stesso tipo di “connettività” di quello dell’Australopithecus: i due emisferi, cioè, si scambiano informazioni più o meno allo stesso ritmo con cui avrebbero fatto quelli del nostro antenato di oltre tre milioni di anni fa, nonostante le dimensioni siano andate aumentando nel corso dell’evoluzione.

La scoperta, riportata su Proceedings of the National Accademy of Science (Pnas), è di un gruppo internazionale di ricercatori coordinati da Roberto Caminiti del Dipartimento di fisiologia e farmacologia dell’Università Sapienza di Roma.

Anche la comunicazione cerebrale tra i due emisferi è a “bande” diverse: viaggia cioè su fibre con diametro e lunghezza differenti, da cui dipende la velocità del segnale elettrico. La banda larga è rappresentata da fibre corte e dal diametro più grande, su cui le informazioni viaggiano molto velocemente, quella stretta da fibre lunghe e sottili. E, come accade nel settore dell’innovazione, c’è stato il passaggio dalla banda stretta a quella larga anche dal punto di vista evolutivo.

I ricercatori hanno confrontato la connessione di diverse aree cerebrali dei due emisferi di macaco, scimpanzé ed essere umano. Le tre specie, che presentano dimensioni relative del cervello via via più grandi – sono evolutivamente legate: la linea che ha portato al macaco attuale si sarebbe infatti separata da quelle degli altri due primati circa otto milioni di anni fa, mentre la linea dello scimpanzé si sarebbe separata da quella degli ominidi circa sei milioni di anni fa.

Ecco cosa è emerso dal confronto: l’aumento delle dimensioni del cervello nel “passaggio” dagli scimpanzé ai macachi è stato accompagnato da un aumento del numero delle fibre corte e tozze a discapito di quelle lunghe e sottili; lo stesso però non si può dire per quanto riguarda  il “passaggio” dallo scimpanzé all’Homo sapiens. La quantità di fibre “ad alta velocità” sono infatti in numero ridotto rispetto a quanto ci si sarebbe aspettato considerando le dimensioni del cervello.

Solo le aree sensoriali e motorie hanno un alto numero di fibre corte e larghe e, quindi, comunicano con maggiore velocità rispetto alle aree associative; di quelle, cioè, evolutivamente più recenti, ritenute responsabili delle funzioni complesse del nostro cervello. Secondo i ricercatori, questo suggerisce che  l’evoluzione ha favorito una  “dispersione temporale” nella tipo di trasmissione delle informazioni tra i due emisferi, privilegiando un meccanismo basato sul trasferimento lento dei segnali nervosi, piuttosto che sulla massima velocità possibile. In proporzione, è come se le informazioni viaggiassero nel nostro cervello tre volte più lente rispetto a quanto accade nel macaco.

La dispersione temporale, però, non è un fattore negativo; al contrario potrebbe essere molto importante per il mantenimento di alcune funzioni neurologiche. È stato infatti osservato che la “tempistica” del trasferimento d’informazione influenza le interazioni tra gli emisferi cerebrali. (t.m.)

Riferimento: doi: 10.1073/pnas.090765510

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