Carlo Cellucci
Perché ancora la filosofia
Laterza 2008, pp.390, euro 28,00
Per lo spessore e la densità, questo testo rappresenta un fatto di notevole rilievo nel panorama editoriale nazionale. Carlo Cellucci, in Italia uno dei più importanti docenti e teorici nel campo della logica e della filosofia delle scienze formali, organizza il volume in trenta capitoli che rappresentano ciascuno un saggio monografico a sé stante, ma si completano in un quadro epistemologico unitario che si propone una serie di obiettivi costitutivi. Secondo l’autore, la filosofia merita ancora di essere considerata un ambito di ricerca del tutto autonomo, perché è in grado di riflettere in sé il mondo e la realtà attraverso una ridefinizione di cosa sia e di cosa significhi la conoscenza di tale realtà. Di conseguenza, il testo è al contempo una riflessione “metafilosofica” (cosa è, di cosa si occupa, di cosa dovrebbe occuparsi la filosofia) e un’indagine filosofica (come si deve presentare una teoria della conoscenza all’altezza di questo compito).
La teoria della conoscenza si deve costituire come un’epistemologia totalmente nuova in grado di rispondere alle problematiche che hanno frammentato la tradizione filosofica analitica in miriadi di fazioni, fino al punto di renderla un mare magnum di dibattiti e preferenze concettuali. Secondo l’autore, una teoria della conoscenza dovrebbe poter rendere conto dell’inefficacia dell’epistemologia come “credenza vera e giustificata” e del tramonto della centralità del concetto di verità considerato, insieme all’intuizione, una vera e propria chimera. A questi Cellucci preferisce opporre concetti come quello di “plausibilità” e di “inferenze percettive inconsce”, così da integrare appieno il metodo analitico e le cosiddette “inferenze ampliative” non deduttive (induzione, abduzione/ipotesi, metafora, analogia, ecc.). In tutto le “chimere” sono sette: oltre alle già citate verità e intuizione, oggettività, certezza, deduzione, rigore, mente.
Le argomentazioni finiscono, inevitabilmente, per ammantarsi di finalità rivoluzionarie tentando di convincere il lettore della superiorità della concezione evoluzionista della conoscenza. Secondo Cellucci molti degli interrogativi che rendono pressoché impossibile affrontare questi problemi sono dovuti all’incomprensione del fatto che la conoscenza non è un fenomeno specificamente umano. Essa ci unisce al resto del mondo biologico ed è connaturata al problema della sopravvivenza per le specie viventi. La sopravvivenza, infatti, è soprattutto “soluzione di problemi”: quindi, il modo naturalisticamente più centrato di ridefinire la conoscenza consiste proprio nel partire da qui.
Il testo di Cellucci è quindi molto ambizioso, come dimostra anche il capitolo finale dedicato al problema della plausibilità della religione e della capacità della morale filosofica di far fronte ad alcune sue sfide. Le risposte di Cellucci a tali problemi sono caratterizzate da un profondo e autoconsapevole scetticismo ateistico.
Il testo, tuttavia, si scontra con l’enormità del suo compito. L’autore, per esempio, non dedica neppure un paragrafo alle ricerche sulla conoscenza come risorsa economica, che stanno ridefinendo i rapporti tra la teoria filosofica della conoscenza e l’epistemologia delle scienze economico-sociali. Che l’evoluzione culturale sia poco più di una protesi di quella naturale, e non una parte ben strutturale e strutturante di quest’ultima, è in qualche modo discutibile. Questa impostazione rischia, infatti, di rendere impossibile una prospettiva epistemologica capace di comprendere aspetti meno discussi della conoscenza umana, primo tra tutti quello sociale.