Contaminazione da arsenico, dove in Italia

Nella tavola periodica si chiama As. Il suo nome completo è arsenico, ed è uno degli elementi chimici più amati da autori di libri e film gialli per la sua altissima pericolosità: l’esposizione acuta, infatti, può essere fatale. Ma anche la cronica, meno interessante per letteratura e cinematografia ma più rilevante nel mondo reale, è altrettanto pericolosa, tanto che l’Organizzazione mondiale della sanità ha ufficialmente classificato l’arsenico, specie quello inorganico trivalente, tra le sostanze “cancerogene per gli esseri umani”. Alla luce di tutto questo, non possono non destare preoccupazioni gli ultimi risultati dello studio Sepias – Sorveglianza epidemiologica in aree interessate da inquinamento ambientale da arsenico di origine naturale o antropica, condotto dai ricercatori dell’Istituto di fisiologia clinica (Ifc) del Cnr e pubblicato sulla rivista Epidemiologia e prevenzione.

Nel lavoro, presentato oggi a Roma, gli scienziati hanno sottoposto a biomonitoraggio quattro aree italiane (il viterbese, l’AmiataTaranto e Gela), registrando nei residenti di ognuna di esse – seppure in misura diversa – concentrazioni di arsenico superiori ai valori di riferimento. “Le aree sono state scelte in base al tipo di inquinamento cui erano soggette”, spiega a Wired.it Fabrizio Bianchi, dirigente di ricerca dell’Ifc-Cnr. “In particolare, l’Amiata e il viterbese hanno un inquinamento di tipo naturale: l’arsenico è presente nelle rocce, nei sedimenti e nelle acque. A Taranto e Gela, invece, deriva da attività antropiche, come ammettono le stesse industrie locali, che emettono quintali di arsenico nell’ambiente”.

I ricercatori, dice Bianchi, hanno sottoposto a 282 persone (scelte con un campionamento randomizzato e rappresentativo) un questionario per valutarne lo stile di vita e la situazione clinica. Su ciascuno dei partecipanti sono state inoltre effettuate analisi delle urineprelievo del sangueecodoppler e visita cardiologica. È bene ricordare che, mentre esistono delle soglie stabilite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’Unione Europea per quanto riguarda i valori di arsenico nelle acque e negli alimenti, per urina e sangue non ci sono valori analoghi, perché l’intossicazione dipende fortemente da meccanismi individuali di risposta. “Nonostante questo, comunque”, precisa Bianchi, “sono stati elaborati diversi valori di riferimento, in base a esposizione, possibili rischi per la salute, biomonitoraggi futuri e altri parametri. E noi abbiamo tenuto conto di tutti questi valori”. Gli scienziati, nell’analisi, hanno inoltre preso in considerazione i fattori genetici ed epigenetici che determinano la diversa risposta dei singoli soggetti all’esposizione all’arsenico. E hanno osservato“valori medi di concentrazione elevati, per quanto riguarda l’arsenico inorganico, in un soggetto su quattro del totale, ma con rilevanti differenze: 40% Gela, 30% Taranto, 15% viterbese, 12% Amiata”. Dati che sono “da usare con cautela in considerazione dei piccoli campioni”, ma che comunque“testimoniano l’avvenuta esposizione” alla sostanza.

Al sud peggio che al centro, insomma. E attività antropiche molto più dannose e incidenti rispetto a quelle naturali. Incrociando i dati clinici con le risposte al questionario, gli scienziati hanno evidenziato “associazioni statisticamente significative” tra concentrazione di arsenico e fattori di rischio: “Il fattore di rischio più importante è l’esposizione occupazionale nelle aree industriali di Gela e Taranto”, dice ancora Bianchi. “Per quanto riguarda le altre due regioni, invece, i fattori di rischio sono il consumo di acqua per uso civico (cucina e igiene personale) e la contaminazione degli alimenti. Per quest’ultimo punto, comunque, sono necessari ulteriori studi più focalizzati sulle abitudini alimentari dei soggetti”.

Come intervenire, dunque? “Abbiamo anzitutto sottomesso un protocollo di presa in carico dei soggetti con valori più elevati, che è già stato approvato dal Ministero della Salute”, spiega Bianchi. “Quello che suggeriamo è di intervenire al più presto per rimuovere o diminuire il più possibile le fonti da esposizione primaria, tra cui gli stabilimenti che riversano arsenico nelle falde acquifere. E poi è assolutamente necessario continuare e ampliare il biomonitoraggio, così come avviene negli Stati Uniti e in molte nazioni europee”.

Via: Wired.it

Credits immagine:  Al_HikesAZ/Flickr

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