Contro il cancro il vaccino è batterico

Utilizzare i batteri per “attivare” il sistema immunitario, e combattere i tumori: una tecnica vecchia di oltre un secolo, che oggi sta tornando alla ribalta grazie agli sforzi di molti gruppi di ricerca in tutto il mondo. I risultati per ora sembrano promettenti: alcuni farmaci sviluppati a partire da queste premesse e sperimentati su pazienti in stadio avanzato sembrerebbero in grado di ridurre la massa tumorale in oltre il 70% dei casi, e di portare la malattia in remissione nel 20%. Ma per le caratteristiche di queste terapie, non è facile condurre i trial clinici, e mancano quindi dati definitivi sulla loro efficacia. A ripercorrere la storia dei vaccini batterici contro il cancro è un articolo apparso sull’ultimo numero di Nature. Ecco cosa racconta.

La storia ha inizio nel 1890 con William Coley, un giovane medico americano deciso a trovare una cura contro il cancro dopo aver perso un paziente malato di sarcoma. Dopo mesi di ricerche, Coley trovò la risposta in un paziente affetto dallo stesso tipo di tumore, guarito miracolosamente in seguito a un’infezione da Streptococcus pyogenes.

Incontrato l’uomo, e verificato che il tumore era ancora in remissione a sette anni dall’infezione, Coley si convinse che il batterio era in grado di attivare il sistema immunitario, e di fare in modo che questo combattesse lo sviluppo della neoplasia. Il medico realizzò quindi un vaccino che conteneva il batterio disattivato, e somministrando e migliorando la sua terapia per oltre 40 anni, arrivò a curare circa un quarto dei casi di sarcoma da lui seguiti, e anche altri tipi di tumore.

Con gli anni però il vaccino di Coley cadde in disuso. La tecnica richiedeva infatti un’accurata calibrazione per ogni paziente, e la sua efficacia era quindi difficile da verificare con i criteri di riproducibilità richiesti dalla medicina moderna. Anche per gli standard odierni però, i suoi risultati erano notevoli. Una ricerca del 1999 ha comparato 128 casi di Coley con oltre 1.600 pazienti trattati con le terapie più recenti, dimostrando che il vaccino del medico americano garantiva una sopravvivenza media di 8,9 anni, contro i 7 dei pazienti di oggi.

Le scoperte degli ultimi anni nel campo dell’immunologia e dell’oncologia hanno permesso di comprendere i meccanismi molecolari alla base dei successi di Coley, e oggi le sue teorie stanno vivendo una seconda giovinezza. Dal 2005 la MBVax, un’azienda di biotecnologie con sede a Vancouver, sta lavorando per esempio a una versione moderna del vaccino, e tra il 2007 e il 2012 lo ha sperimentato su oltre 70 pazienti con tumori in stadio avanzato di diverso tipo (melanoma, linfoma, tumore al seno, della prostata e delle ovaie), dimostrando di poter ridurre le dimensioni della neoplasia nel 70% dei casi, e di arrivare ad una totale remissione nel 20%.

Uno studio tedesco del 2012, svolto su 12 pazienti, ha dimostrato invece come le immunoterapie batteriche (le terapie che sfruttano i batteri per attivare il sistema immunitario) sono in grado di stimolare la produzione di citochine, molecole che danno il via alla reazione del sistema immunitario, documentando inoltre la regressione del tumore in uno dei pazienti. Nonostante i risultati promettenti però, le ricerche sono ancora negli stadi iniziali.

“Nella ricerca farmacologica è molto difficile ricevere l’approvazione per prodotti che contengono estratti batterici”, racconta su Nature Uwe Hobohm, biologo dell’università tedesca di Giessen, tra i primi a riscoprire il lavoro di Coley. I vaccini batterici possono infatti contenere dozzine di molecole differenti, di cui bisogna chiarire i meccanismi d’azione prima di procedere con la sperimentazione sui pazienti. Per gli standard odierni quindi, è più facile e sicuro lavorare con sostanze purificate, isolando le singole molecole attive a cui è dovuta l’efficacia delle terapie.

Hobohm però ritiene di aver trovato una soluzione promettente. Secondo lui infatti, il meccanismo d’azione del vaccino di Coley potrebbe essere legato ad un gruppo di molecole definite Pattern Recognition Receptors (Prr) Ligands (o agonisti dei recettori che riconoscono profili molecolari). Presenti sulla membrana di molti microrganismi patogeni, queste sostanze hanno la caratteristica di attivare le cellule dendritiche, elementi fondamentali del sistema di difesa del nostro organismo, che riconoscono i microrganismi estranei e danno il via alla risposta immunitaria. Sperimentando le molecole su topi, Hobohm ha ottenuto la remissione del tumore in quattro casi su cinque.

Anche un’altra azienda di biotecnologie canadese, la Qu Biologics, sta sperimentando dei farmaci derivati da molecole batteriche purificate. Il loro lavoro nasce da un’intuizione: il vaccino di Coley funziona in particolare sul sarcoma, un tumore che colpisce proprio i tessuti più vulnerabili all’infezione da Streptococcus pyogenes. Ipotizzando che la risposta immunitaria stimolata dal vaccino sia “sito specifica”, i ricercatori della Qu Biologics hanno sviluppato diversi farmaci, realizzati specificamente a partire da ceppi batterici che infettano i tessuti in cui si sviluppa la tipologia di tumore che si intende trattare. Ad oggi l’azienda ha sperimentato le sue terapie su oltre 250 pazienti con tumori in stadio avanzato, ottenendo un aumento della sopravvivenza di circa 20 mesi per il cancro al seno, e di 12 per altri tipi di tumore. Senza studi clinici randomizzati però, è impossibile stabilire la reale efficacia di queste terapie.

“Servono i trial clinici per dimostrare l’efficacia dei vaccini per i malati di cancro”, conclude su Nature Hoption Cann, ricercatore capo della MBVax. “L’interesse per il lavoro di Coley può andare e venire, ma non si avranno certezze fino a che qualcuno non ne dimostrerà definitivamente l’efficacia”.

Riferimenti: Bacteriology: A caring culture; Sarah DeWeerdt doi:10.1038/504S4a

Credits immagine:Microbe World/Flickr

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