Coronavirus: come i mattatoi diventano nuovi focolai di infezioni

mattatoi
(Foto: Uwe Ruhrmann da Pixabay)

L’industria della carne ha avuto un problema durante l’emergenza sanitaria del nuovo coronavirus. Viene considerata un’industria essenziale, ma secondo gli esperti negli impianti di macellazione è difficile rispettare il distanziamento fisico e i lavoratori sono così costretti a operare in spazi ristretti, a stretto contatto gli uni con gli altri per lunghi periodi di tempo. In condizioni quindi che li espongono a un maggior rischio di infezione. “I mattatoi sono gli hotspot del nuovo coronavirus”, ha commentato al Financial Times Priscila Dibi Schvarcz, del pubblico ministero brasiliano, sottolineando come le condizioni di lavoro dei dipendenti non siano affatto sicure. “Molte persone lavorano spalla a spalla senza rispettare il distanziamento sociale”.

I macelli, focolai del coronavirus

Dall’America all’Europa e all’Australia, i macelli in alcuni casi hanno scatenato focolai di nuovo coronavirus, con impianti in tutto il mondo che si sono visti costretti a chiudere e a mettere in quarantena i propri dipendenti. Per esempio, negli Stati Uniti più di 20mila lavoratori degli stabilimenti di imballaggio della carne sono risultati positivi al nuovo coronavirus, così come molti altri dipendenti dell’industria della carne in Irlanda, Paesi Bassi, Francia e Regno Unito.

Di recente, inoltre, i pubblici ministeri brasiliani sono in trattativa con i fornitori di carne del paese per attuare misure più stringenti che mirano a tutelare i loro dipendenti dalla Covid-19. Mentre è solamente di alcuni giorni fa la notizia che oltre mille lavoratori dell’industria della carne Tonnies di Rheda-Wiedenbuck, in Germania, sono risultati positivi al nuovo coronavirus (e circa 7mila dipendenti sono stati messi in quarantena). Anche in Italia si sono verificati alcuni episodi, ma in misura per fortuna minore.

Il distanziamento sociale e ambienti ristretti

Il problema, spiegano gli esperti, è il fatto che questi lavoratori sono stati considerati come essenziali in molti paesi. Vale a dire che durante la pandemia hanno continuato a lavorare, contribuendo ad aumentare la diffusione della Covid-19. Le massime concentrazioni di casi nello stato di Rio Grande do Sul in Brasile, per esempio, si sono registrate nei macelli, tanto che i pubblici ministeri brasiliani hanno citato in giudizio Jbs, la più grande azienda di lavorazione della carne nel mondo.

Secondo quanto riportato dall’analisi degli statunitensi Centers for Disease Control and Prevention (Cdc), le condizioni di lavoro nei macelli, tra cui gli ambienti ristretti e turni di lavoro molto lunghi, sono parte del motivo per cui la Covid-19 si è diffusa così rapidamente negli impianti di macellazione di tutto il mondo. Ma si aggiunge anche il risvolto sociale dei lavoratori che sono spesso sottopagati: i sindacati, infatti, incolpano un modello di business a basso costo basato su alti livelli di produzione. L’industria della carne, infatti, fa affidamento sul lavoro migrante a basso costo, dove i dipendenti lavorano fino a 60 ore settimanali e vivono in alloggi condivisi da sette a otto persone, dove è ovviamente impossibile mantenere il distanziamento fisico.

Unica eccezione è stata la Danimarca. Gli impianti del Paese, infatti, vantano di alti livelli di automazione gestiti da lavoratori ben pagati. Per esempio, come racconta Jais Valeur, amministratore delegato della Danish Crown, il più grande produttore di carne in Europa, “i nostri dipendenti vengono stati pagati circa 30 dollari l’ora, rispetto a circa i 14 dollari l’ora negli Stati Uniti. Parte della nostra risposta è stata quella di ridurre il lavoro e automatizzare”.

Via: Wired.it

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Credits immagine di copertina: Uwe Ruhrmann da Pixabay