Cosa c’è da sapere sull’acrilammide negli alimenti

In questi giorni si sono riaccesi i riflettori sul contenuto di acrilammide (una molecola potenzialmente cancerogena) negli alimenti e sul fatto che la Commissione europea non si sia ancora espressa sulla modifica dell’attuale regolamento comunitario. Ma che cos’è l’acrilammide? In quali cibi si trova? Quanto è pericolosa? Facciamo chiarezza.

Che cos’è l’acrilammide?

Come si può leggere sul sito dell’Efsa, l’agenzia europea per la sicurezza alimentare, l’acrilammide è un composto chimico che si forma naturalmente durante la cottura ad alte temperature (frittura, cottura la forno e alla griglia, lavorazioni industriali a più di 120°C con scarsa umidità) di prodotti alimentari che contengono amidi, per esempio pane e patate. L’acrilammide è uno dei prodotti della reazione di Maillard, quella che tutti abbiamo imparato a conoscere grazie al programma televisivo Masterchef e che conferisce alla pietanza un aspetto abbrustolito: gli amidi (che sono zuccheri) reagiscono con l’aminoacido asparagina producendo acrilammide.

In quali cibi si trova l’acrilammide?

I cibi in cui si riscontra sono chips di patate, patatine fritte, biscotti, pane, crackers, snack ai cereali, etc. Si trova acrilammide anche nel caffè e nella frutta secca, per via della tostatura. I prodotti fritti a base di patate contribuiscono fino al 49% all’esposizione media degli adulti, il caffè fino al 34% e il pane morbido fino al 23%.

Anche se non è cibo, va detto che l’acrilammide è contenuta anche nel fumo di sigaretta e nel sangue dei fumatori può trovarsi in concentrazioni molto più elevate rispetto al valore medio.

L’acrilammide è pericolosa?

Proprio per le modalità con cui si origina, è probabile che l’acrilammide esista da quando è stata inventata la cottura dei cibi, ma è stata trovata per la prima volta negli alimenti solo nel 2002. Da allora gli scienziati hanno cominciato a studiarla e a testarne la sicurezza su modelli animali – ricerche che hanno fatto emergere alcune criticità. Bisogna aspettare il 2015 perché l’Efsa pubblichi la sua prima valutazione completa dei rischi derivanti dalla presenza di acrilammide negli alimenti, in cui si legge che la sostanza “potenzialmente aumenta il rischio di sviluppare il cancro nei consumatori di tutte le fasce d’età”. I bambini, che hanno un peso corporeo inferiore, sono più esposti a possibili effetti.

Stando ai risultati sugli animali di laboratorio, l’acrilammide contenuta nei cibi viene assorbita dall’intestino e distribuita nell’organismo attraverso il sangue. Non è però l’acrilammide di per sé a causare problemi, ma un suo metabolita, la glicidammide. Questa molecola causerebbe mutazioni nel dna cellulare aumentando il rischio di sviluppare tumori, ma potrebbe anche essere responsabile di problemi neurologici e di fertilità nei maschi.

Bisogna però fare delle precisazioni. I test sono stati effettuati su animali di laboratorio a cui sono state somministrate oralmente dosi di acrilammide in proporzione molto superiori a quelle contenute nei cibi che consumiamo. Pertanto, se i risultati delle ricerche sugli animali supportano la genotossicità e la cancerogenicità dell’acrilammide, sulla salute degli esseri umani non si possono trarre conclusioni così nette. Un’analisi pubblicata sulla rivista Frontiers in Nutrition nel 2022, per esempio, conclude che i dati attuali non evidenziano nell’essere umano un’associazione tra l’esposizione (anche elevata) all’acrilammide attraverso la dieta e un aumento del rischio di tumori sito-specifici (come quelli all’esogago o al pancreas), a eccezione di alcune neoplasie ginecologiche.

L’acrilammide, dunque, è considerata un probabile cancerogeno sia dagli esperti dell’Efsa che da quelli dello Iarc (l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell’Oms). Come tale, non è possibile stabilire una dose giornaliera tollerabile negli alimenti, ma si possono stimare degli intervalli di dosaggio oltre i quali è probabile che l’acrilammide causi un effetto misurabile.

I valori di riferimento

Dal 2017 esiste un regolamento europeo che ha fissato dei valori di riferimento per il contenuto di acrilammide per tipologia di alimenti. Per il pane morbido a base di frumento, per esempio, il livello di riferimento è 50 microgrammi per chilo (µg/kg); per i biscotti e le fette biscottate per lattanti e per la prima infanzia è 150 µg/kg; per il caffè di torrefazione è di 400µg/kg. I produttori sono invitati a rispettarli e ad adeguarsi a protocolli di produzione volti a ridurre la formazione di acrilammide in cottura, ma al momento non esiste un obbligo.

Negli ultimi anni la sorveglianza dell’Efsa e degli Stati membri dell’Unione Europea non si è fermata. Già nel 2021 la Commissione Europea ha messo per iscritto di essere a conoscenza del dibattito che i nuovi dati e l’attività di organizzazioni come Safe Food Advocacy Europe hanno sollevato e delle richieste per la revisione dei livelli di riferimento esistenti, per la definizione di livelli di riferimento di alimenti che non erano stati considerati nel 2017 e per fissare delle soglie massime. La discussione è ancora in corso e potremmo vedere i risultati in estate.

Via: Wired.it

Immagine: Matthias Böckel da Pixabay 

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