Cotture fatali

Dalle pagine di Nature un po’ di luce sul mistero della presenza di acrilammide, una sostanza potenzialmente cancerogena per l’essere umano, in alcuni alimenti cotti, come patatine fritte, pop corn e biscotti. Due studi condotti parallelamente da Richard Stadler del Nestlè Research Center di Losanna (Ch) e da Donald Mottram dell’Università di Reading (Gb) sono giunti alla medesima conclusione: è la cottura che provoca la comparsa dell’acrilammide. A una temperatura di 185°C, raggiungibile, per esempio, nella frittura, il glucosio e l’aminoacido asparagina, presenti in molti alimenti di largo consumo, danno luogo a una reazione nota, detta di Maillard, e si trasformano in acrilammide. Ciò non accade nella bollitura, dove le temperature superano di poco i 100°C. “Questo studio”, ha commentato a Galileo Paolo Aureli, direttore del Laboratorio Alimenti dell’Istituto Superiore di Sanità, “apre solo uno squarcio tra i tanti interrogativi che ancora circondano la presenza ingente di questa sostanza in alcuni cibi cotti a elevate temperature”. A portare alla ribalta delle cronache l’acrilammide era stata alla fine dello scorso aprile una ricerca, condotta da Margereta Tornqvist del dipartimento di Chimica Ambientale dell’Università di Stoccolma, che evidenziava preoccupanti livelli di questa sostanza in alcuni alimenti a base di amido e cotti ad alte temperature. A questa erano seguite altre ricerche in Canada e in Svizzera. Sotto accusa patate fritte, pop-corn, biscotti e cereali in fiocchi. In effetti, la tossicità dell’acrilammide era nota già da tempo, essendo uno dei prodotti chimici più usati nella lavorazione della plastica. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ne ha fissato dei limiti per la presenza nell’acqua destinata al consumo: si sa infatti che in alcuni processi di potabilizzazione vengono usati composti azotati della stessa famiglia. Prima dell’allarme svedese però nessuno si era chiesto se anche i cibi potessero contenerla. In una porzione di patate fritte invece, è stata rilevata una quantità di questa sostanza fino a 500 volte più elevata di quella consentita dalla legge per l’acqua potabile. A seguito di risultati così inquietanti, l’Oms e la Fao (l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura dell’Onu) hanno istituito una commissione di esperti che doveva indagare sui rischi per la salute umana derivati da questa sostanza. Negli esperimenti sui topi, l’acrilammide ha dimostrato la sua pericolosità provocando gravi danni al sistema nervoso e alterazioni cellulari di natura tumorale. Non ci sono ancora prove certe della relazione tra acrilammide e cancro negli esseri umani, ma la sua capacità di interagire con l’emoglobina lascia pensare che possa interagire anche con il Dna, producendo quelle mutazioni nel codice genetico che precedono la formazione del tumore. Nel puntare l’indice contro snack, patatine e cracker, gli scienziati sono però molto cauti: ci sono altri alimenti e prodotti (le sigarette, per esempio) che possono causare la formazione di acrilammide nel corpo umano, e “non è detto che il nostro intestino la assorba proprio da quelli cotti ad alte temperature”, ha precisato Aureli. Mancano poi molti dati sugli alimenti presenti nelle diete di Paesi diversi da quelli dove sono state compiute le ricerche. In Italia, l’Istituto Superiore di Sanità ha creato una commissione, guidata proprio da Aureli, che si occupa dell’analisi dei prodotti tipici della nostra cucina. “Ma non è ancora il caso”, ha aggiunto il professore, “di pensare a provvedimenti restrittivi per le nostre abitudini alimentari”. Possiamo continuare a consumare fritti e snack senza preoccupazione quindi? Non proprio. “E’ sempre meglio ricordare”, ha spiegato Antonio Malorni, dirigente dell’Istituto di Scienze dell’Alimentazione del Cnr di Avellino, “che la varietà della nostra dieta e la facilità con cui nel nostro Paese possiamo mettere in tavola frutta e verdura sempre fresca rappresentano il modo migliore per difendersi dagli effetti dannosi di certe sostanze”.

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