Un accordo giusto, duraturo, bilanciato”, così Laurent Fabius, presidente della Cop21, ha definito l’accordo sul Climadi Parigi introducendo, questa mattina, il testo definitivo ai rappresentanti degli stati partecipanti. “Se lo rigetterete”, ha proseguito Fabius, “i nostri figli in tutto il mondo non ci capiranno né ci perdoneranno”.
“Questo, se voi vorrete, sarà il primo accordo universale sul clima”, ha ribadito il presidente francese Francois Hollande. “Non capita spesso nella vita di avere l’opportunità di cambiare il mondo, voi oggi avete quest’opportunità”. E i ministri e rappresentanti dei 195 paesi più l’Eu non si sono tirati indietro: dopo un’altra lunga sessione di discussioni, con un’assemblea plenaria il testo è stato adottato. La cerimonia ufficiale di firma sarà il 22 aprile 2016 a New York e l’entrata in vigore del trattato, non prima del 2020, avverrà 30 giorni da quando almeno 55 parti responsabili di almeno il 55% delle emissioni di gas serra lo avranno ratificato.
L’obiettivo del nuovo accordo sul clima
L’accordo prevede un obiettivo davvero molto ambizioso: contenere l’aumento della temperatura globale del pianeta ben al di sotto dei 2°C, perseguendo idealmente il goal di +1,5°C. Promotori di quest’obiettivo sono stati i rappresentanti delle piccole isole e degli altri stati più vulnerabili agli impatti delcambiamento climatico, per i quali quel mezzo grado può fare la differenza tra la vita e la morte.
Un accordo giusto, duraturo, bilanciato”, così Laurent Fabius, presidente della Cop21, ha definito l’accordo sul Climadi Parigi introducendo, questa mattina, il testo definitivo ai rappresentanti degli stati partecipanti. “Se lo rigetterete”, ha proseguito Fabius, “i nostri figli in tutto il mondo non ci capiranno né ci perdoneranno”.
“Questo, se voi vorrete, sarà il primo accordo universale sul clima”, ha ribadito il presidente francese Francois Hollande. “Non capita spesso nella vita di avere l’opportunità di cambiare il mondo, voi oggi avete quest’opportunità”. E i ministri e rappresentanti dei 195 paesi più l’Eu non si sono tirati indietro: dopo un’altra lunga sessione di discussioni, con un’assemblea plenaria il testo è stato adottato. La cerimonia ufficiale di firma sarà il 22 aprile 2016 a New York e l’entrata in vigore del trattato, non prima del 2020, avverrà 30 giorni da quando almeno 55 parti responsabili di almeno il 55% delle emissioni di gas serra lo avranno ratificato.
In questo il testo non è cambiato rispetto alla formulazione di giovedì scorso che Hans Joachim Schellnhuber, direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research aveva commentato così:“L’accordo punta a limitare il riscaldamento globale tra 1,5°C e 2°C, ed è in linea con l’Ipcc e le ultime ricerche scientifiche”.
Il resto dell’accordo, però, ha sottolineato Steffen Kallbekken, direttore del Centre for International Climate and Energy Policy, non sarebbe coerente con l’obiettivo.
Il testo infatti non fornisce una chiara road map, né obiettivi a breve termine, ma si basa completamente sulle Indc dei singoli paesi. Queste dovranno sì essere revisionate nel 2018, ma allo stato attuale mettono il mondo in una traiettoria di aumento della temperatura tra i 2,7°C e i 3,7°C. “Secondo le conclusioni dell’Ipcc, per limitare il riscaldamento a 2°C dobbiamo tagliare le emissioni rispetto al 2010 del 40-70% entro il 2050. Per raggiungere il target di 1,5°C il taglio deve essere più sostanziale, tra il 70 e il 95% entro il 2050”, ha dichiarato oggi Kallbekken.
Questi numeri però sono scomparsi dal testo rispetto alle versioni precedenti, così come il concetto di decarbonizzazione, sostituiti da più generali obiettivi di “bilancio tra emissioni antropogeniche e rimozione di queste da parte dei cosiddetti sink biosferici (come oceani e foreste, nda) nella seconda metà del secolo”. La differenza l’ha spiegata Johan Rockström, direttore esecutivo dello Stockholm Resilience Centre, davanti al testo pubblicato giovedì: “Con decarbonizzazione”, spiegava Rockstrom, “si intende il totale abbandono di carburanti fossili, la formula prevista in questo testo implica invece la possibilità di poter continuare a usare questo tipo di carburanti”. Oggi Rockstrom ha così commentato il nuovo testo: “Parigi è un punto di partenza. Ora abbiamo bisogno di azioni coerenti con la scienza per raggiungere la decarbonizzazione entro il 2050 e uno sviluppo sostenibile”.
Gli altri punti chiave del testo
Per quanto riguarda il nodo chiave della differentiation, la diversa responsabilità storica tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo secondo quanto stabilito dalla convenzione e un conseguente diverso impegno finanziario, questa è prevista in qualche misura dall’accordo, anche se non quanto desiderato da alcuni degli attori. Secondo il testo, “i paesi sviluppati devono fornire le risorse finanziarie per assistere i Paesi in via di sviluppo”. I 100 miliardi l’anno a partire dal 2020, previsti dall’100 billion goal, sono un punto di partenza e ulteriori fondi devono essere stanziati in misura che sarà decisa nel 2025. Tuttavia mancano dettagli sulle effettive dimensioni di questi finanziamenti, su quando e su come saranno forniti.
L’accordo riconosce anche l’importanza di investire di più in adaptation e resilience, ma anche qui non entra nello specifico di azioni concrete e fondi stanziati, pur stabilendo che dovranno essere i Paesi sviluppati a fornirli. Conferma poi il Meccanismo di Varsavia per la valutazione delle perdite e dei danni subiti da alcuni paesi a causa del riscaldamento globale, anche se esclude la possibilità di individuare responsabilità civili o di stabilire risarcimenti specifici.
Per quanto riguarda i meccanismi di trasparenza e revisione, il testo stabilisce una cornice flessibile all’interno della quale si chiede alle nazioni di presentare regolarmente un inventario delle emissioni prodotte e assorbite, aggiornamenti sui progressi fatti nel raggiungimento degli obiettivi previsti e informazioni sul trasferimento di capitali e conoscenze tecnologiche e supporto alla capacity-building. Viene poi stabilito un meccanismo che prevede la revisione da parte della Cop stessa dei progressi relativi a questo accordo e una rivalutazione degli impegni individuali (per fare in modo che portino all’obiettivo finale, cosa che oggi non fanno) ogni 5 annia partire dal 2023.
Mancano anche, ed è una sconfitta per l’Unione europea,obiettivi in merito alle emissioni dovute ai trasporti internazionali per via area e marittima che erano invece parte del testo di Copenhagen e che insieme, ricorda Kevin Anderson, del Tyndall Centre for Climate Change Research, “equivalgono le emissioni di Germania e Regno Unito combinate”.
Imperfetto, debole ma pur sempre un punto di svolta
Un testo molto più debole di quanto sperato da molti e soprattutto di quanto necessario, dunque. Allo stesso tempo, però, per certi versi è un accordo storico, se non fosse altro che per l’obiettivo ambizioso, il riconoscimento del rischio rappresentato dal riscaldamento globale e della necessità di una risposta collettiva, e soprattutto della straordinaria – universale – partecipazione, come ha sottolineato a WiredFrancesco La Camera, direttore generale degli Affari generali e del personale del ministero dell’Ambiente: “Abbiamo visto qui 150 e più capi di stato, cosa che non è mai accaduta prima nella storia delle Nazioni Unite, 185 paesi hanno presentato le loro Intended Nationally Determined Contribution [Indc, le azioni che intendono intraprendere, ndr] che coprono oltre il 90% delle emissioni, mentre l’accordo di Kyoto ne copriva appena il 12 per cento…chi non considera questo quadro generale fa un errore”.
Anche molte delle Ong presenti alla Cop, pur lontane dall’essere soddisfatte, riconoscono che questo è un momento di svolta: “Questo accordo mette l’industria dei carburanti fossili dal lato sbagliato della storia. Molto in questo testo è stato diluito ed epurato dalle persone che saccheggiano il nostro pianeta, ma contiene il nuovo imperativo di limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C”, ha dichiarato Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace.
“Questo testo marca la fine dell’era dei carburanti fossili, non c’è modo di raggiungere gli obiettivi enunciati in questo accordo senza tenere carbone, petrolio e gas nel terreno”, ha dichiarato invece May Boeve, direttore esecutivo di 350.org.
Sono infine tutti d’accordo che questo è solo un punto di partenza, che molto viene lasciato a future Cop e negoziati e anche che bisogna cominciare a lavorare subito: il testo prevede, da adesso al 2020, di impegnarsi a rispettare gli accordi presi a Kyoto e a Doha. Per quanto riguarda l’Italia, si comincerà presto a lavorare ai progetti previsti dagli accordi bilaterali stipulati durante questi giorni e prima della Cop21 “con quei paesi che stanno subendo in maniera maggiore gli impatti del cambiamento climatico, quindi fondamentalmente le isole del Pacifico, ma anche con i paesi dei Caraibi e Maldive”, come spiega La Camera. “Abbiamo anche accordi con il Botswana, Lesotho, Egitto e ne firmeremo presto uno con Panama che riguarderà attività legate alla foresta pluviale”.
L’Italia sta anche trasferendo fondi alla Banca Mondiale per progetti in Africa per la produzione di energia elettrica off-grid che coinvolgono villaggi non raggiunti dalla rete principale. “Dovremmo investire in Africa, da qui al 2020, 600 milioni di euro che possono produrre un leverage molto alto”, ha raccontato il direttore Generale. “Per quanto riguarda gli accordi bilaterali invece si tratta cifre molto modeste che però servono a creare una migliore capacity building”.