Cosa fare con le staminali del cordone

Casi come quello di Stamina possono farci dimenticare che le cellule staminali sono una risorsa preziosa, su cui la medicina (quella seria) ripone grandi speranze. E non solo per il futuro: già oggi infatti le staminali, realizzate con protocolli rigorosi, sono terapie salvavita per malattie come la leucemia e i linfomi, e non mancano inoltre le applicazioni innovative già in fase di sperimentazione. Alla Duke University, negli Stati Uniti, si studia ad esempio l’utilizzo delle cellule staminali autologhe, prelevate alla nascita dal proprio cordone ombelicale, per curare diversi tipi di lesioni cerebrali, come l’ictus e la paralisi cerebrale infantile. Tra i pazienti che hanno partecipato al primo trial c’è anche una bambina italiana, e anche se è presto per parlare di risultati definitivi, per ora nel suo caso il trattamento sembrerebbe un successo.

La paralisi cerebrale infantile è un disturbo causato da lesioni del sistema nervoso centrale che avvengono prima del terzo anno di vita, quando il cervello è ancora in formazione. I sintomi, causati dalla perdita di tessuto cerebrale e dall’alterazione dello sviluppo del cervello, sono problemi motori e cognitivi che perdurano per il resto della vita. La paziente italiana era stata colpita dalla malattia alla nascita, e fino all’anno scorso aveva una limitata mobilità, faticava ad esprimersi e aveva una scarsa reattività alle sollecitazioni. Questo almeno prima di essere inserita insieme ad altri 60 bambini in un trial clinico della Duke University, che si basa sull’infusione di staminali autologhe.

I piccoli pazienti che hanno partecipato allo studio hanno ricevuto un’infusione di staminali provenienti dal loro stessocordone ombelicale. L’ipotesi dei ricercatori è che queste cellule possano diffondersi nel flusso sanguigno fino a raggiungere il cervello, dove grazie alla loro capacità di trasformarsi in tutti i tessuti possono contribuire a riparare eventuali danni. Dopo la prima infusione, la bambina italiana ne ha ricevuta una seconda a dicembre dell’anno scorso, e anche se i medici dicono che è troppo presto per parlare di successo, i risultati si vedono, eccome: la paziente infatti avrebbe avuto un importante miglioramento dal punto di vista cognitivo e delle capacità di movimento, recuperando anche la capacità di parlare.

La bambina ha potuto partecipare al Trial della Duke University perché alla nascita i genitori avevano deciso di crioconservare le cellule del suo cordone ombelicale. È una possibilità che oggi nel nostro paese è disponibile per tutti i neo genitori, anche se non sono in molti a conoscere delle diverse opzioni esistenti (e i conseguenti limiti). Le cellule staminali contenute nel cordone ombelicale vanno infatti raccolte alla nascita, e conservate a 150 gradi sotto zero in contenitori criogenici, perché rimangano vitali anche per 15-20 anni. Le cellule così raccolte possono essere impiegate in due modi: conservate gratuitamente nelle 19 banche pubbliche esistenti, per essere donate alla collettività per fini solidaristici, o per un uso dedicato per il proprio figlio o per un familiare in caso di patologie che lo rendano necessario; oppure conservate unicamente per un eventuale utilizzo privato, in biobanche situate fuori dal territorio italiano (nel nostro Paese è vietata la conservazione del sangue o delle staminali per uso privato), e con una spesa che si aggira intorno ai 2-3.000 euro, una tantum.

Le cellule staminali del cordone conservate in questo modo possono poi essere utilizzate a fini terapeutici per il trattamento di diverse patologie. L’uso più diffuso è come sorgente alternativa di staminali ematopoietiche a scopo di trapianto, al posto del midollo osseo. In questo modo vengono utilizzate da quasi 25 anni per trattare malattie del sangue come la leucemia, le anemie, i linfomi, il mielomamalattie metaboliche e disturbi del sistema immunitario. Il potenziale rigenerativo delle cellule staminali le rende inoltre candidati naturali per lo sviluppo di terapie innovative di medicina rigenerativa.

Oltre al trial di cui abbiamo parlato per il trattamento della paralisi cerebrale infantile, i ricercatori della Duke University stanno portando avanti ad esempio anche un altro filone di ricerca rivoluzionario: quello sul trattamento dell’autismo. Questa sperimentazione rientra in un grande trial da 40 milioni di dollari, in cui i ricercatori guidati da Joanne Kurtzberg, specialista nel trapianto di cellule staminali, sperimenterà la terapia con staminali autologhe anche su pazienti colpiti da ictus, e porterà avanti le ricerche sulla paralisi cerebrale infantile, dando il via ad un vero e proprio studio randomizzato, fondamentale per stabilire la reale efficacia del trattamento.

In questa cornice, il team di Kurtzberg ha deciso di sperimentare il trattamento anche su pazienti autistici, inizialmente con il trapianto di staminali autologhe nei bambini, e in una seconda fase anche con il trapianto anche negli adulti di cellule provenienti da donatori. Va detto però che il progetto ha già attirato diverse critiche. In molti in effetti ritengono che una delle cause dell’autismo risieda nel danneggiamento delle connessioni tra diverse aree del cervello, ma per i critici del progetto sappiamo ancora troppo poco delle basi neurali della malattia per spendere spendere cifre a sette zeri in un trial con le staminali.

Via: Wired.it

Credits immagine: College of Ag Communications/Flickr

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