La pesca d’alto mare potrebbe risalire a oltre 42.000 anni fa, e non a 5.000, come si supponeva finora. A spostare indietro di così tanti millenni il salto tecnologico che permise il passaggio dalla pesca nei fondali bassi a quella offshore è un gruppo di archeologi australiani e giapponesi, grazie al ritrovamento di due ami preistorici e di resti di pesci di acque profonde in un sito a Nord di Timor Est, noto come Riparo Jerimalai.
I più antichi ami da pesca finora noti erano stati messi in relazione con l’inizio delle attività agricole, che per il Sud-est Asiatico si fa risalire a 5.500 anni fa. Ma i due nuovi ami, descritti su Science come frutto della lavorazione di conchiglie, sono stati ritenuti assai più antichi: tra gli 11 mila e i 23 mila anni anni fa; inoltre le ossa animali – quasi 40 mila resti, metà appartenenti a specie di acque basse, metà a specie di acque pelagiche, in particolare tonni, squali e razze – hanno fino a 42.000 anni.
È proprio l’abbondanza di specie pelagiche a far ipotizzare che l’attività di pesca fosse condotta anche nelle acque profonde. “È straordinario pensare che queste specie fossero pescate regolarmente già 40 mila anni fa”, ha commentato Sue O’Connor, archeologa alla Australian National University di Canberra: “Questo richiede una tecnologia complessa e dimostra che l’essere umano anatomicamente moderno del Sud-est Asiatico possedeva abilità marittime avanzate”.
Mentre i ricercatori speculano sulle possibili tecniche utilizzate e su eventuali sistemi di reti o lenze rudimentali calate dalle zattere, Christopher Henshilwood, archeologo all’Università di Witwatersrand di Johannesburg (Sudafrica) ricorda – in un articolo di commento su Nature – che Homo sapiens arrivò in Australia 50.000 anni fa, e che quindi doveva essere in grado di pescare in mare aperto già allora. Inoltre, in Sudafrica sono già stati ritrovati resti di pesci datati tra 140.000 e 50.000 anni fa. Ciononostante, i due ami rappresentano la prima testimonianza diretta di queste pratiche in un periodo tanto remoto. L’accento di O’Connor cade anche sulla preziosa unicità dei siti indonesiani. Secondo l’archeologa, infatti, molte delle località costiere che preservano i resti di antiche civiltà marittime sono oggi scomparse, in seguito all’innalzamento del livello marino causato dal disgelo post-glaciale.
Riferimento: Science DOI: 10.1126/science.1207703
Credit per l’imagine: Science
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