Così il pianeta cresce

In mezzo all’Oceano Atlantico un piccolo sottomarino arriva a seimila metri di profondità. Tra terremoti, esplosioni di gas ed eruzioni vulcaniche inizia a raccontare una lunga storia, quella del “cuore” della Terra. Una ricerca affascinante e complessa che illumina il passato del nostro pianeta da una prospettiva inusuale: quella delle dorsali medioceaniche, una catena montuosa lunga oltre 60 mila chilometri, dove si concentra l’80 per cento del vulcanismo e buona parte della sismicità e perdita di calore e gas del pianeta. Il materiale caldo risale lentamente per centinaia di chilometri, arriva proprio sotto le dorsali da cui fuoriesce e forma ben i due terzi della crosta terrestre. Lo studio di queste montagne sommerse è quanto mai importante per capire l’andamento delle variazioni meteorologiche e sismiche nonché alcune forme di vita sconosciute. A raccogliere le informazioni di questa esplorazione abissale alcuni scienziati italiani dell’Istituto di Scienze del mare, geologia marina del Cnr, che hanno conquistato così la copertina di Nature. Per saperne di più Galileo ha intervistato il responsabile del gruppo di lavoro che ha firmato la ricerca, Enrico Bonatti. Professor Bonatti, quali sono i principali risultati scientifici del vostro lavoro? “Sono essenzialmente tre. Innanzitutto siamo riusciti a determinare la velocità con la quale il mantello (lo strato profondo del globo terrestre) risale verso l’alto al di sotto delle dorsali oceaniche, circa 25 millimetri all’anno. Un dato essenziale per capire quali sono i processi che portano alla formazione della crosta terrestre. In secondo luogo abbiamo studiato come varia nel tempo la temperatura del mantello caldo (circa 1200 gradi) che risale al di sotto dell’Atlantico centrale, e, quindi, lo spessore della crosta che produce. Abbiamo scoperto che negli ultimi 20 milioni di anni questa temperatura è gradualmente aumentata. Questo significa che la dorsale medio atlantica si sta “gonfiando” e lo spessore della crosta terrestre sta aumentando”. C’è una correlazione tra ciò che accade al di sotto dei fondali oceanici e il clima? “Nel lunghissimo periodo sì. È una relazione affascinante e generalmente sconosciuta al grande pubblico. Il materiale caldo che risale da grandi profondità del mantello può “gonfiare” il fondo marino e innalza, di conseguenza, il livello del mare. Inoltre lungo le dorsali medio oceaniche si liberano grandi quantità di gas, come l’anidride carbonica, metano ed elio. Alcuni di questi gas, immessi nell’atmosfera, influenzano il clima. Nel passato, per esempio nel Cretacico (da 120 a 80 milioni di anni fa) un forte riscaldamento del mantello terrestre al di sotto degli oceani portò a un clima eccezionalmente caldo”.Il fatto che Nature pubblichi il vostro articolo e dedichi al vostro lavoro la copertina e un editoriale, è un segno che siete un gruppo di eccellenza. Voi lavorate soprattutto grazie al Consiglio nazionale delle ricerche, che però si trova al centro di un complesso e controverso progetto di riforma. Qual è il futuro del vostro gruppo?“Siamo stati finanziati dal Cnr per alcuni anni e abbiamo prodotto molti articoli sulle riviste scientifiche più prestigiose. Un sistema di ricerca sano dovrebbe identificare e incoraggiare gruppi come il nostro. In Italia invece questo avviene molto poco. Non sappiamo cosa ci riserva il futuro e operiamo in un contesto incerto e difficile, che sembra fare di tutto per scoraggiare i nostri sforzi. Poco tempo fa due giovani ricercatori del mio gruppo, coautori dell’articolo di Nature, hanno scelto di andare in Francia e negli Stati Uniti e un terzo ha preferito abbandonare la ricerca. Questo grazie alla crisi del Cnr e della ricerca italiana”. Le scienze della Terra sono essenzialmente una disciplina di base e dunque producono poche conoscenze applicative, almeno sul breve periodo. Qual è la situazione di questi studi nel nostro paese? “Le scienze della Terra sono molto importanti, pensiamo per esempio al rischio sismico o idrogeologico. Ma la ricerca applicata deriva da quella fondamentale. Mi sembra che la nostra ricerca sia gestita più con criteri politici che scientifici. I vari centri italiani che si occupano di scienze della Terra competono tra loro per i fondi e le risorse, ma manca un organismo super partes che si preoccupi di salvaguardare la qualità delle ricerche che si fanno. Io ho lavorato per molti anni alla Columbia University di New York, nel sistema americano la National Science Foundation si preoccupa di valutare la qualità delle varie ricerche finanziando solo le migliori, a prescindere da chi le fa e dal suo ente di appartenenza. Da noi invece un organismo simile non esiste. L’Europa è una speranza, ma attraverso i suoi programmi quadro, si preoccupa soprattutto della ricerca applicata. Una scelta assolutamente miope”.

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