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Cotone Bt, quanto mi costi?

Chi si oppone all’uso degli organismi geneticamente modificati in agricoltura lo fa, quasi sempre, a partire dalle preoccupazioni sui loro possibili effetti sulla salute e l’ambiente. Ma se ora a questi argomenti si aggiungesse anche il dubbio che in realtà le coltivazioni Gm siano più costose di quelle tradizionali, la vita diventerebbe davvero dura per i loro sostenitori. Per questo ha fatto rumore la notizia, arrivata in questi giorni, di una ricerca curata dalla statunitense Cornell University sulle coltivazioni di cotone Gm in Cina; da cui risulta che dopo sette anni di applicazione di queste sementi, gli agricoltori cinesi vedono sostanzialmente erosi i profitti che all’inizio avevano ricavato dal ridotto uso di pesticidi.

La Cina è stato il primo paese a usare estensivamente il cotone Bt, cioè modificato geneticamente per contenere la tossina prodotta dal Bacillus thuringiensis, che uccide il principale parassita della pianta, la larva nota come “bollworm”. Secondo quanto riportato da Per Pinstrup-Andersen della Cornell al meeting annuale della American Agricultural Economics Association a Long Beach, in California, per i primi tre anni i 481 agricoltori coinvolti nella ricerca avevano ridotto l’uso di pesticidi del 70 per cento rispetto alla coltivazione tradizionale, e avevano aumentato i profitti del 36 per cento. Tuttavia, nei quattro anni successivi si sono trovati a dover utilizzare la stessa quantità di pesticidi dei coltivatori tradizionali, fino a guadagnare l’8 per cento in meno di loro visto che le sementi Bt costano il triplo di quelle tradizionali.

Il motivo? La scomparsa del bollworm aveva favorito la moltiplicazione di altre specie di parassiti, contro cui nulla può la tossina prodotta dallo stesso cotone. Per controllare questi parassiti secondari sono ora necessarie fino a 20 applicazioni di pesticidi nel corso di una stagione. Il cotone Bt è stato ampiamente utilizzato nei quattro paesi che sono i maggiori produttori mondiali di cotone (Cina, Stati Uniti, India e Argentina) proprio per le garanzie economiche che sembrava fornire. Oggi rappresenta il 35 per cento delle coltivazioni di cotone nel mondo, ed è ampiamente utilizzato anche in Messico e Sud Africa. In Cina sono ben 5 milioni le aziende agricole che lo utilizzano.

Secondo Domenico Mariotti, responsabile della sede di Roma dell’Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria del Cnr, questi dati vanno però inquadrati nel particolare contesto dell’agricoltura cinese. “Prima di tutto, va ricordato che la coltivazione di cotone era praticamente scomparsa dalla Cina, ed è stata reintrodotta grazie al cotone Bt. Inoltre, in Cina le coltivazioni transgeniche sono state usate con un approccio troppo aggressivo e ‘sfacciato’, senza alcuna precauzione.

Ci sono alcuni piccoli accorgimenti, usati per esempio dagli agricoltori negli Stati Uniti, che avrebbero permesso di prevenire questo problema. Per esempio creare delle zone di cotone tradizionale lungo il bordo dei campi coltivati con cotone Bt. In questo modo si mantiene una piccola popolazione di bollworm che continua a competere con altri parassiti mantenendo basso il loro numero. E si evita che lo stesso bollworm sviluppi resistenza alla tossina del Bt”.

Le valutazioni di Mariotti coincidono con quelle degli stessi responsabili dello studio, che invitano ricercatori e agricoltori a mettersi in cerca di soluzioni perché l’uso di cotone Bt non si tramuti in realtà in un uso ancora maggiore di pesticidi rispetto all’agricoltura tradizionale. Dall’introduzione di predatori naturali per tenere sotto controllo gli agenti infestanti, alla previsione obbligatoria di quelle aree rifugio coltivate con varietà non Ogm; fino a sviluppare ulteriori varietà della pianta in grado di tenere lontani anche gli altri predatori.

“Che si sia contro o a favore degli Ogm, bisogna accettare il fatto che l’agricoltura è una costante lotta contro i parassiti delle piante” conclude il ricercatore del Cnr. “Più una pianta è resa produttiva, in particolare il cotone che è una pianta molto delicata, più la si priva delle sue difese naturali contro i parassiti, e questo vale anche per la selezione tradizionale fatta con gli incroci”.

Nicola Nosengo

Scrittore e giornalista. Dopo essersi laureato in Scienze della Comunicazione all'Università di Siena ed aver frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, si dedica al giornalismo scientifico, scrivendo articoli sulla tecnologia, sulle neuroscienze e sulla medicina. Pubblica nel 2003 il suo primo lavoro L'estinzione dei tecnosauri, in cui parla di tutte le tecnologie che non sono sopravvissute allo scorrere del tempo. Attualmente tiene una rubrica mensile sulla rivista Wired dedicata allo stesso tema.Tra il 2003 e il 2007 collabora con diverse redazioni come L'espresso, La Stampa, Le Scienze, oltre che aver partecipato alla realizzazione dell'Enciclopedia Treccani dei Ragazzi.Nel 2009 ha pubblicato, con Daniela Cipolloni, il suo secondo libro, Compagno Darwin, sulle interpretazioni politiche della teoria dell'evoluzione.

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