Quali caratteristiche particolari hanno le persone che non hanno mai contratto Covid-19? Tra le diverse ipotesi in campo, una basa sulla cosiddetta interferenza virale, ossia “l’inibizione alla crescita di un virus causata da un’infezione precedente”, ha spiegato a Repubblica Aureliano Stingi, biologo molecolare e e collaboratore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nella battaglia contro le fake news sulla Covid-19. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.
Il concetto di interferenza virale è stato descritto per la prima volta negli anni ’60, quando sono stati sviluppati i vaccini contro gli enterovirus vivi (Lev), costituiti da enterovirus attenuati per la prevenzione delle malattie enteriche causate da un gran numero di patogeni non correlati, principalmente nei bambini. Oltre all’effetto protettivo dei Lev sugli enterovirus patogeni, in particolare sui poliovirus, la loro somministrazione dei vaccini nei bambini ha ridotto il rilevamento di altri virus respiratori non correlati, come il virus dell’influenza, della parainfluenza, Rsv, Hrv e l’adenovirus umano.
Come ricordano dai Centers for Disease Control and Prevention (Cdc), sappiamo che diversi virus respiratori possono circolare durante lo stesso periodo e infettare simultaneamente o in sequenza il nostro tratto respiratorio, creando così interazioni virus-virus, che possono essere “positive”, ossia sinergiche, oppure “negative”, cioè antagonistiche. Nel primo caso si tratta di co-infezioni che potrebbero comportare un aumento della gravità della malattia, mentre nel secondo caso, le negative, ci possono essere altre due possibilità: omologa ed eterologa, a seconda che i due virus appartengano alla stessa famiglia oppure no. Va da sé che l’omologa implica che l’immunità contro un prima virus previene anche l’infezione contro un secondo virus. L’interferenza virale eterologa, invece, si basa sull’induzione di una risposta immunitaria innata non specifica da parte di un primo virus che riduce o previene l’infezione e la replicazione di un secondo virus, come per esempio il virus dell’influenza A e il virus respiratorio sinciziale. “Il tipo di interazione virus-virus (negativa o positiva) dipende probabilmente dai virus respiratori coinvolti, dalla tempistica di ciascuna infezione e dall’interazione tra la risposta dell’ospite a ciascun virus”, spiegano dai Cdc.
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Prendiamo ad esempio il coronavirus e il virus influenzale. Nelle passate stagioni, infatti, quando i contagi da Covid-19 raggiungevano il picco abbiamo osservato che i casi di influenza erano notevolmente ridotti. E ciò potrebbe essere dovuto a una competizione tra virus, o meglio all’interferenza virale, basata appunto sul controllo di un virus sulla proliferazione e, quindi, diffusione, degli altri. Il meccanismo biologico più probabile di questo fenomeno si basa sugli interferoni, ossia il gruppo di proteine che vengono prodotte dalle cellule del sistema immunitario per difendersi dall’attacco di un virus e che servono, quindi, a indurre una protezione contro i patogeni, che è comunque transitoria.
Nel caso dell’influenza e della Covid-19, precisano dai Cdc, sono necessarie altre ricerche per chiarire le interazioni tra Sars-Cov-2 e il virus influenzale. I primi studi, comunque, sembrano dimostrare che “le risposte immunitarie innate indotte da Sars-Cov-2 e dal virus dell’influenza nelle vie respiratorie superiori e inferiori potrebbero influenzare il tipo di interazioni virus-virus, a seconda di quale virus infetterà per primo”, spiegano dai Cdc. “L’interferenza virale a livello di popolazione è difficile da dimostrare poiché esistono differenze nella dinamica di trasmissione dei virus respiratori in base ai comportamenti sociali e al periodo dell’anno tra i vari gruppi di età”.
Via: Wired.it
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