Covid, quello che sappiamo sull’efficacia del vaccino russo Sputnik V

Sputnik V

Una delle riviste mediche più autorevoli al mondo, Lancet, ha appena pubblicato i risultati preliminari di un’analisi ad interim dei trial clinici di fase 3 per Sputnik V, il vaccino russo già utilizzato in Argentina, Venezuela, Ungheria, Emirati Arabi Uniti e Iran. I dati sembrano molto interessanti, sia dal punto di vista della sicurezza (non sono emersi effetti avversi gravi nei soggetti che avevano ricevuto il vaccino) che da quello dell’efficacia: stando a quanto riportano gli autori dell’analisi, Sputnik V sarebbe efficace nel 91,6% dei casi. Un valore comparabile con quello dei vaccini di Pfizer-BioNTech e Moderna, per cui è già stata approvata la somministrazione da molte autorità regolatorie (tra cui l’Ema), e che però, diversamente da Sputnik V, si basano sulla tecnologia a mRna. Si tratta certamente di una buona notizia: lo studio appena pubblicato sembra più solido rispetto a quello di settembre scorso (che uscì sempre su Lancet, e sul quale emersero diversi dubbi e punti oscuri), ma è da prendere, almeno per il momento, con le pinze, perché potrebbe ancora esserci qualcosa che non torna.

Ma andiamo con ordine. Sputnik V – nome commerciale per Gam-Covid-Vac – è un vaccino ad adenovirus (come quello di AstraZeneca, per intenderci) costituito da due dosi, da somministrare a 21 giorni di distanza distanza l’una dall’altra: la prima è basata sull’adenovirus ricombinante Ad26, mentre la seconda, che dovrebbe potenziare la risposta immunitaria elicitata dalla precedente, sull’adenovirus Ad5 (AstraZeneca, invece, utilizza lo stesso vettore in entrambe le dosi). Si tratta di due virus innocui per il nostro organismo, modificati in modo da istruire opportunamente il corpo a preparare le proprie difese qualora dovesse incontrare Sars-CoV-2. È stato messo a punto dall’Istituto Nazionale di epidemiologia e microbiologia Nikolai Gamaleya di Mosca con il sostegno del Fondo russo per gli investimenti diretti (Rdif) e registrato a metà agosto scorso; a novembre, pochi giorni dopo che Pfizer e BioNTech ha annunciato che il loro vaccino era efficace in oltre nove casi su dieci, il ministro della Salute russo ha rilanciato dichiarando che l’efficacia di Sputnik V fosse addirittura superiore e si attestasse attorno al 92% circa. Una dichiarazione, va detto, non supportata da alcun dato: in quel momento non erano ancora stati resi disponibili i risultati della fase 3 dei trial clinici del vaccino – a dirla tutta, non era addirittura ancora chiaro se la fase 3 fosse realmente iniziata, dal momento che il dato sull’efficacia era stato estrapolato da una non meglio precisata “campagna di vaccinazione di massa” eseguita al di fuori della fase 3.

Oggi fortunatamente le cose sono cambiate: lo studio appena pubblicato è scientificamente più solido dei precedenti, e le sperimentazioni sono state eseguite su un campione abbastanza ampio. Questi i dati riportati (ricordiamo che si tratta di una valutazione preliminare e ad interim): l’analisi condotta su circa 20mila persone (divise in modo tale che un quarto dei partecipanti ricevesse il placebo e tre quarti il vaccino) ha mostrato che il vaccino è efficace al 91,6%, con 16 casi di Covid-19 sintomatico nel gruppo vaccinato (lo 0,1%) e 62 in quello trattato con il placebo. Molto rari gli effetti avversi seri (quelli cioè che richiedono ospedalizzazione), sia nel gruppo placebo (0,4%) che in quello vaccinato (0,2%); la maggior parte degli altri eventi avversi sono stati classificati come lievi, di grado 1 (sintomi parainfluenzali, dolore al braccio, mal di testa). Il 5,66% e lo 0,38% degli eventi avversi sono stati classificati rispettivamente nel grado 2 e nel grado 3, sempre di lieve entità.

Veniamo ora ai punti ancora poco chiari, che impongono prudenza nell’interpretazione dei risultati e ne ridimensionano le conclusioni. “Guardando i numeri, c’è ancora qualcosa che non torna”, ci spiega Enrico Bucci, che già a novembre scorso analizzò i dati preliminari su Sputnik V, rimediando un’accusa di sciacallaggio da diversi media legati al Cremlino e ad altre istituzioni russe. “A novembre scorso gli sperimentatori avevano comunicato che per la fase tre avevano a disposizione i dati di oltre 19mila volontari vaccinati con entrambe le dosi. Nello studio appena pubblicato, il numero dei vaccinati è poco più di 14mila: che fine hanno fatto i dati dei 5mila volontari mancanti?”.


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Ma c’è dell’altro: “Ai fini dell’analisi di efficacia, non sono stati conteggiati i soggetti risultati positivi ma asintomatici tra la prima e la seconda dose; nel gruppo del placebo, invece, sembra che si sia scelto di contare i soggetti in maniera diversa, il che potrebbe aver artificiosamente aumentato la percentuale dei positivi, facendo così migliorare l’efficacia”. Va sottolineato, inoltre, che la formulazione del vaccino usato nello studio è quella che va conservata a -18°C (che quindi non ha un vantaggio logistico rispetto a quello di Pfizer) anche se Sputnik V esiste anche in un’altra formulazione che si può conservare a temperature più alte.

In ogni caso, nonostante i dubbi ancora da sciogliere, il dato è complessivamente positivo: “La mia sensazione”, conclude Bucci, “è che questo vaccino funzioni, come tra l’altro c’era da aspettarsi guardando agli altri vaccini basati su adenovirus. Penso che la sua efficacia sia superiore a quella del vaccino di AstraZeneca, ma non sono sicuro che sia effettivamente del 92%, anche perché è anormalmente diversa rispetto ai suoi simili. Ora non ci resta che aspettare la valutazione dell’Ema, che ci consentirà di accedere a dati più approfonditi”.

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Via: Wired.it