Cybugs. Possono le macchine pensare?

    “A.I.” è il film progettato da Kubrick e realizzato poi da Spielberg nel 2001. “Il Dottor Stranamore” è invece del 1964. Ma anch’esso ha a che fare con l’Intelligenza Artificiale. Lo scienziato guerrafondaio fu infatti ispirato alla figura di John von Neumann, genio ungherese emigrato negli Stati Uniti, dove partecipò alle attività belliche, spaventando addirittura i militari quando gli spiegò come sganciare l’atomica su Hiroshima in modo che uccidesse più persone possibile. Ma von Neumann fu anche uno dei grandi teorici delle macchine digitali, ideando l’architettura (CPU + memoria centrale + periferiche) che ancora oggi è alla base dei nostri Personal Computer.Ecco cosa scopre il visitatore nella prima sala della mostra Cybugs, un viaggio nella storia delle “macchine che pensano” da Pascal ad oggi. Una galleria dei personaggi importanti dell’informatica e scienze affini, noti e meno noti dove si passa dalla figlia del poeta Byron, forse la prima “programmatrice” della storia, al già citato von Neumann; dall’inventore della psicologa virtuale ELIZA, Joseph Weizenbaum, a Isaac Asimov, scrittore di fantascienza che ha avuto un grande peso nel preparare l’opinione pubblica alla vita con i robot.

    Se la prima sala è dedicata alle persone, le altre mettono in mostra le macchine. Dal Museo del Giocattolo e del Bambino, sono qui raccolti numerosi automi. Noti già dal Medioevo, raggiungono precisione e fama tra Sette e Ottocento, quando l’arte orologiaia permise di costruire meccanismi complessi: acrobati, ballerini, suonatori, e addirittura battaglie simulate con decine di miniature in movimento.L’esposizione si sposta poi sui risultati odierni. I robot che simulano le attività degli organismi: ricerca di cibo, sonno, il gioco, l’accoppiamento. E poi la stanza dei “fotovori”, centinaia di piccole macchine chiuse all’interno di teche a luce variabile: ognuna di esse “pensa” tramite una semplicissima CPU (composta da due neuroni e sei connessioni) che cerca la luce, sua fonte di nutrimento. Così al variare della luce i fotovori si muovono verso la sorgente luminosa, cibandosene, seguendola ed evitando gli ostacoli. Inquietanti come uno stormo di cavallette, i fotovori sono comunque uno dei risultati più avanzati dell’odierna Intelligenza Artificiale, capace di creare non più solo meccanismi ripetitivi, ma congegni in grado di variare (in modo sempre più sottile) il proprio comportamento.

    Le ricadute pratiche degli studi scientifici sono mostrati nell’ultima sala, dove sfilano i prodotti per il grande pubblico realizzate a partire dalle conoscenze nate nell’ambito dell’A.I.: dal tagliaerbe automatico alla lavatrice “fuzzy” che decide quanto sapone usare, dalla “bomba intelligente” ai giocattoli tipo Furby o Tamagotchi.Tutta la mostra è inoltre accompagnata da brevi e sintetiche schede riassuntive delle principali nozioni scientifiche (automi cellulari, logica fuzzy, reti neurali), ed è un ottimo esempio di divulgazione scientifica, dimostrando ancora una volta che anche con pochi fondi (la mostra è a ingresso gratuito) si possono realizzare cose interessanti, senza ricorrere a inutili spettacolarizzazioni.

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