Da Pisa una mano robot low cost

    Non ha ancora raggiunto la fama di One Laptop per Child di Nicholas Negroponte, ma il progetto di Maria Chiara Carrozza, direttore della Scuola Superiore Sant’Anna, coniuga alta tecnologia e diritti fondamentali in maniera altrettanto mirabile. Non parliamo di computer a prezzo politico ma di una mano robotica, di una protesi raffinatissima, a costi limitati: circa 100 dollari contro i 20mila dollari di una protesi corrente. Così da poter essere usata soprattutto nei paesi emergenti o in quelli flagellati da conflitti, dove una disabilità anche lieve può diventare gravemente invalidante.

    Il lavoro che ha portato alla presentazione del primo prototipo è stato lungo: 10 anni di studio multidisciplinare per mettere a fuoco la complessa biomeccanica della mano, i meccanismi che sottendono ai tanti movimenti, l’analisi della percezione tattile. Il tutto per cercare di imitare al meglio quello che accade in natura. L’ultimo tratto di questa lunga strada l’Istituto di BioRobotica del Sant’Anna l’ha precorso insieme ad altri 6 partner provenienti da 5 nazioni, tutti riuniti nel progetto SmartHand finanziato dall’Unione Europea.

    L’obiettivo del progetto era quello di realizzare una protesi che fosse in grado di eseguire tutte le prese di una mano umana. Come hanno dimostrato i diversi test eseguiti su pazienti amputati, grazie alla mano robot è possibile scrivere, mescolare, versare dell’acqua, movimenti considerati semplici ma finora impossibili da eseguire per chi abbia una protesi. Il risultato finale è l’acquisizione di una funzionalità pari all’80% di quella naturale. La presenza di 4 motori all’interno della protesi consente di flettere e stendere le dita e cambiare la presa, mentre i 40 microsensori propriocettivi distribuiti nella struttura robotica consentono al sistema di misurare la posizione della mano nello spazio. In più, uno studio durato 5 anni sulla percezione tattile ha consentito ai ricercatori pisani di creare dita artificiali che, grazie alla presenza di particolari microsensori, riescono a distinguere i diversi tipi di tessuto. Il tatto è infatti fondamentale per potersi riappropriare della capacità di manipolazione. La mano robot viene innestata sul moncone amputato dei pazienti e i suoi elettrodi vengono applicati sui muscoli residui. È da qui che arrivano i segnali elettrici che la mano deve interpretare per potersi muovere.

    Ora che il progetto è praticamente finito – il prototipo è stato già testato su diverse persone in Italia e Svezia e nelle prossime settimane è previsto un test su pazienti cinesi -, Carrozza ha deciso di lanciare la sfida low cost. Raccolta già da Prensilia, spin-off in provincia di Pisa che si è detta pronta a mettere sul mercato la protesi a 100 dollari.

    Riferimenti: wired.it

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