Enrico Fermi, i primi trent’anni

Enrico Fermi nasce a Roma il 29 settembre. Durante l’infanzia il suo unico amico e compagno di giochi è il fratello Giulio, di un anno più grande di lui. A dieci anni si iscrive al ginnasio liceo Umberto I e molto presto sviluppa un forte interesse per la fisica e la matematica. A quattordici anni scopre su una bancarella di piazza Campo dei Fiori, un trattato di fisica matematica di circa 900 pagine, scritto in latino, Elementorum Physicae Mathematicae, e lo studia a fondo come risulta dalle numerose annotazioni in margine al testo e da foglietti pieni di calcoli ritrovati all’interno.

1915-17: l’amicizia con Persico

Nel 1915, poco dopo la drammatica morte dell’amatissimo fratello Giulio, Fermi fa amicizia con Enrico Persico, compagno di scuola di Giulio. Il grande interesse per la fisica accomuna i due ragazzi, che insieme fanno lunghe passeggiate per la città, durante le quali il giovane Persico scopre con meraviglia l’intelligenza del tutto singolare del suo compagno: “In matematica e fisica dimostrava di conoscere molti argomenti non compresi nei nostri studi. Conosceva questi argomenti non in modo scolastico, ma in maniera tale da potersene servire con la massima abilità e consapevolezza. Già allora per lui conoscere un teorema o una legge scientifica significava soprattutto conoscere il modo di servirsene”. Durante gli anni del liceo Fermi ha un interlocutore importante nell’ingegner Adolfo Amidei, amico e collega del padre, appassionato di matematica e fisica, che contribuisce alla sua formazione scientifica prestandogli numerosi trattati di livello universitario.

1918, un candidato brillante alla Scuola Normale Superiore di Pisa

In luglio Fermi, saltando il terzo anno, consegue la licenza liceale. Alla fine del mese scrive all’amico Persico: “La lettura dello Chwolson procede celermente e calcolo di averlo finito tra un mese o un mese e mezzo perché ho trovato circa 1000 pagine da saltare perché le conoscevo”. Si tratta del gigantesco trattato in 9 volumi di O. D. Chwolson, dove c’è tutta la fisica delle grandi svolte, ci sono tutti i nomi che rappresentano la transizione dalla fisica classica alla nuova fisica: oltre a Einstein e Planck, vi figurano Wien, Poincaré, Lorentz, Abraham, Minkowski, Ehrenfest, von Laue, Rayleigh, Sommerfeld; e, ben citati, Volterra e Levi Civita, che Fermi avrebbe incontrato ben presto. Fermi fa il concorso per essere ammesso alla Scuola Normale Superiore di Pisa: il suo tema (“Caratteri distintivi dei suoni e loro cause”) è a un livello talmente alto che uno dei commissari lo convoca per conoscere di persona questo prodigio e rendendosi conto delle eccezionali capacità del giovane Enrico gli annuncia che certamente sarebbe diventato un grande scienziato. In autunno Fermi si iscrive all’Università di Pisa come allievo interno della Scuola Normale.

1919, fisica d’estate

Dalle lettere scritte all’amico Persico è possibile ricostruire l’intensa attività di studi che Fermi porta avanti durante questi anni universitari al di fuori del curriculum universitario. Tra le carte di Fermi conservate a Chicago si trova un quaderno di appunti che risale all’estate del 1919 nel quale sono annotati una serie di argomenti oggetto dei suoi studi recenti. Si va dalla meccanica analitica di Hamilton e Jacobi, alla teoria di Lorentz, alla relatività ristretta, alla teoria del corpo nero. C’è una bibliografia che contiene molti dei libri fondamentali dell’epoca. Vi si trovano menzionati i primi lavori di Bohr sullo spettro dell’idrogeno, certamente poco conosciuti e considerati all’epoca in Italia. E’ un completo autodidatta e già si muove con grande sicurezza nei campi più diversi della fisica e della matematica, dando consigli all’amico Persico e suggerendogli i testi da leggere o i problemi su cui cimentarsi.

1920

Tra i suoi colleghi a Pisa vi sono Franco Rasetti e Nello Carrara, con i quali Fermi inizia a fare esperimenti nel laboratorio di fisica al quale il direttore dell’Istituto, Luigi Puccianti, aveva dato loro libero accesso. Fermi ha le idee ben chiare su quali esperimenti eseguire per fare ricerche originali e mostra subito le sue doti di leader del piccolo gruppo, come ricorda Rasetti: “Carrara e io, che nell’anno precedente avevamo ormai riconosciuto la superiorità di Fermi per le sue conoscenze di matematica e fisica, lo consideravamo fin da allora il nostro capo naturale e ci rivolgevamo a lui e non ai professori per avere istruzioni e consigli”. Fermi ha già studiato a fondo quello che allora è considerato il testo sacro della meccanica quantistica, Atombau und Spektrallinien [Struttura dell’atomo e linee spettrali] di A. Sommerfeld ed è già considerato da tutti l’autorità indiscussa sulla teoria quantistica di Bohr-Sommerfeld. “All’istituto fisico sto a poco a poco diventando l’autorità più influente. Anzi uno di questi giorni dovrò tenere, davanti a diversi magnati, una conferenza sulla teoria dei quanti, di cui sono sempre un sostenitore” scrive Fermi al suo amico Enrico Persico il 30 gennaio 1920.

1921

A questo periodo risale probabilmente la lettura del libro di Hermann Weyl, Raum, Zeit, Materie [Spazio, tempo, materia], pubblicato nel 1921, che costituisce un’introduzione di straordinaria chiarezza fisica e matematica alla teoria della relatività e da cui Fermi in particolare apprende la potenza dei metodi variazionali in fisica matematica. Dopo lo studio della meccanica quantistica Fermi si dedica a fondo alla relatività e nel corso del terzo anno di università pubblica sul “Nuovo Cimento” i suoi primi lavori su problemi di elettromagnetismo. Secondo quanto affermato da Persico il metodo di lavoro di Fermi consisteva nel fatto che egli “prendeva i dati di un determinato problema, li elaborava lui stesso e poi confrontava i suoi risultati con quelli ottenuti dagli autori dei saggi. A volte, nella realizzazione di questo tipo di lavoro, egli poneva nuovi problemi e li risolveva oppure, addirittura, correggeva le soluzioni errate se erano ormai universalmente accettate. Nacquero così le sue prime pubblicazioni”.

1922

Nel frattempo si è impadronito a fondo dei metodi del calcolo tensoriale che, sviluppato dai matematici Gregorio Ricci Curbastro e Tullio Levi-Civita, costituisce la struttura matematica alla base della relatività generale. Il più notevole dei lavori di Fermi nel campo della relatività si trova nell’articolo Sopra i fenomeni che avvengono in vicinanza di una linea oraria nel quale Fermi dimostra un teorema la cui importanza consiste appunto nel semplificare alcune dimostrazioni di relatività generale. Questa memoria viene successivamente citata nei più importanti trattati di calcolo differenziale assoluto, primo fra tutti le famose Lezioni di calcolo differenziale assoluto, di Levi-Civita, pubblicate nel 1925. In questo studio Fermi introduce un sistema di coordinate spazio temporali (le cosiddette coordinate di Fermi) particolarmente adatto per seguire l’evoluzione temporale di fenomeni che avvengono in una piccola regione di spazio (una importante estensione viene successivamente fatta da A. G. Walker nel 1932, per cui nella letteratura scientifica si parla generalmente di coordinate di Fermi-Walker). In luglio si laurea in fisica cum laude e ottiene il diploma della Scuola Normale. La sua tesi di laurea riguarda una ricerca sperimentale sulle immagini di diffrazione dei raggi X. Riguardo ai motivi di questa scelta Rasetti ricorderà anni dopo che “A quell’epoca in Italia la fisica teorica non era considerata una disciplina da insegnare nelle università e una tesi in quel campo avrebbe rappresentato uno scandalo almeno per i membri più anziani della facoltà. I fisici erano essenzialmente fisici sperimentali e soltanto una tesi sperimentale sarebbe stata accettata da loro come una vera tesi di fisica. L’argomento più affine alla fisica teorica, la meccanica razionale, era insegnata dai matematici che la consideravano un settore della matematica applicata, mostrando il più completo disinteresse per le sue implicazioni fisiche. Questo spiega perché argomenti come la teoria dei quanti non avevano preso piede in Italia: rappresentavano una terra di nessuno fra la fisica e la matematica. Fermi fu il primo a colmare questa lacuna”.

1923

E’ notevole il fatto che a quest’epoca Fermi sia già abbastanza noto, almeno in alcuni ambienti, tanto che la sua partecipazione è richiesta all’appendice dell’edizione italiana del libro di A. Kopff, I fondamenti della relatività einsteiniana. La maggior parte dei dodici articoli contenuti nella stessa appendice, scritti dai più noti fisici e matematici italiani della generazione più anziana, sono invece molto scettici e ostili alla teoria di Einstein. Nel breve saggio Le masse nella teoria della relatività, Fermi mette in evidenza un’importante conseguenza fisica della teoria, la relazione che lega la massa di un corpo alla sua energia. Dopo aver sottolineato le potenziali quantità di energia contenute in un grammo di materia in base alla relazione E=mc2, Fermi prosegue: “Non appare possibile che, almeno in un prossimo avvenire, si trovi il modo di mettere in libertà queste spaventose quantità di energia, cosa del resto che non si può che augurarsi, perché l’esplosione di una così spaventosa quantità di energia avrebbe come primo effetto di ridurre in pezzi il fisico che avesse la disgrazia di trovare il modo di produrla”.In questo periodo Fermi si reca a Göttingen presso Max Born con una borsa di studio del Ministero della Pubblica Istruzione. Là conosce Werner Heisenberg e Pascual Jordan, e forse anche Wolfgang Pauli. Fermi tuttavia non stabilisce particolari legami con questo ambiente e rimane piuttosto in disparte. Nel 1923 pubblica invece una serie di lavori sulla meccanica analitica, in particolare l’articolo Dimostrazione che in generale un sistema meccanico normale è quasi ergodico che viene molto apprezzato da Paul Ehrenfest, uno dei maggiori esperti, con Einstein, di meccanica statistica e il cui lavoro ha all’epoca profonde implicazioni per i fondamenti della meccanica. Ehrenfest consegna a George Eugene Uhlenbeck, che si recava a Roma, una lettera per Fermi nella quale gli pone un certo numero di domande. In questa occasione Fermi e Uhlenbeck si conoscono: rimarranno amici per tutta la vita. Probabilmente in seguito a queste circostanze Fermi, deciderà di andare a Leida con una borsa Rockefeller nel settembre 1924, dove, oltre al contatto con Ehrenfest, noto anche per i suoi fondamentali contributi alla meccanica quantistica, Fermi conoscerà di persona scienziati come Hendrick Lorentz e Albert Einstein (secondo la sua stessa testimonianza quest’ultimo prova per lui una ” una simpatia vivissima”) e farà amicizia con alcuni giovani fisici come Samuel Goudsmit e Jan Tinbergen, che successivamente diventerà un’economista. A parte l’amico Enrico Persico, con il quale ha una lunga amichevole consuetudine, Fermi non ha in Italia, tra i fisici in senso stretto, interlocutori competenti con cui discutere delle sue ricerche sulla meccanica quantistica e sulla teoria della relatività. Tuttavia matematici importanti dell’epoca, come Tullio Levi-Civita, un assoluto esperto in Italia nel campo della relatività, e in qualche misura anche Vito Volterra, si accorgono della sua brillante competenza ed entrano in contatto con lui. I soggiorni all’estero costituiscono quindi un’occasione preziosa per misurarsi con figure a livello internazionale. Tornato a Roma Fermi scrive una breve memoria dal titolo Sulla probabilità degli stati quantici, che può essere considerata il suo primo contributo importante alla meccanica quantistica.

1924

Il lavoro Sopra la teoria di Stern della costante assoluta dell’entropia di un gas perfetto monoatomico, pubblicato l’anno precedente, presenta un certo interesse storico perché è la prima indicazione delle riflessioni di Fermi su questi argomenti, in particolare sulla suddivisione dello spazio delle fasi in celle di volume h3. Ma è soltanto con il lavoro Considerazioni sulla quantizzazione dei sistemi che contengono degli elementi identici che Fermi arriva a porsi il problema della ricerca di un “principio mancante” per spiegare il comportamento di particelle identiche che obbediscono alle condizioni della meccanica quantistica di Bohr-Sommerfeld e in particolare per spiegare l’annullarsi dell’entropia allo zero assoluto. Almeno due anni prima di scrivere il suo famoso lavoro sulla statistica del gas ideale Fermi anticipa senza saperlo il principio di Pauli, anche se per molecole generiche, quando, nel sommario conclusivo alle Considerazioni sulla quantizzazione dei sistemi che contengono degli elementi identici scrive: ”[L’insuccesso delle regole di Sommerfeld per il calcolo del valore assoluto dell’entropia di un gas è evitato quantizzando il moto di molecole identiche] solo nel caso che in ogni cella sia contenuta una sola molecola, mentre se il gas è una miscela di due specie di molecole e lo si quantizza racchiudendo le molecole in celle, per modo che in ciascuna cella siano contenute due molecole, però di specie diversa, si ottiene ancora il risultato esatto”. Non appena il “principio di esclusione” verrà enunciato da Pauli (gennaio 1925) egli ne comprenderà immediatamente le ragioni profonde che giustificano la sua statistica, a cui arriverà appunto partendo da basi diverse e da un punto di vista relativamente indipendente dallo sviluppo della nuova meccanica quantistica. Il 2 luglio il fisico indiano Satyendra Nath Bose introduce un nuovo tipo di statistica per i quanti di luce. A distanza di poco più di una settimana Albert Einstein applica la statistica di Bose a un gas di particelle libere e nel suo articolo dell’8 gennaio 1925 deduce che la materia deve esibire proprietà ondulatorie con un argomento indipendente da quello di Louis de Broglie che nella sua tesi di laurea, discussa il 25 novembre del 1924, era stato il primo ad associare alla materia un comportamento ondulatorio.

1925

E’ un periodo di grandi scoperte e rapidi cambiamenti. Nel gennaio 1925 Pauli pubblica il suo famoso articolo sul principio di esclusione e appaiono i due fondamentali lavori di Einstein sulla statistica quantistica dei gas. Nell’estate dello stesso anno Heisenberg, Born e Jordan gettano le basi della nuova meccanica quantistica – o meccanica delle matrici – che Fermi non riesce ad apprezzare trovando la formulazione troppo astratta. A causa della sua particolare formazione matematica l’algebra delle matrici e la matematica degli operatori in generale non gli sono particolarmente congeniali; assai più congeniali gli sono invece le equazioni alle derivate parziali. Questo forse spiega come mai Fermi accetti rapidamente la versione di Schrödinger della meccanica ondulatoria e consideri con diffidenza la formulazione di Heisenberg; naturalmente finché non ne sarà dimostrata la completa equivalenza da Born, Jordan e Dirac. Dall’autunno del 1924 fino ai primi mesi del 1926 Fermi insegna meccanica teorica e fisica matematica all’Università di Firenze dove ritrova l’amico Rasetti, che all’epoca è assistente universitario. Insieme realizzano una serie di esperimenti originali dedicati all’effetto di un campo magnetico variabile sulla polarizzazione della radiazione di risonanza del mercurio.

1926

Vince la cattedra di fisica teorica all’Università di Roma. Esce l’articolo Sulla quantizzazione del gas perfetto monoatomico, il celebre lavoro nel quale Fermi formula la teoria di un gas ideale di particelle che obbediscono al principio di esclusione di Pauli. Più tardi Fermi racconterà a Segrè che la divisione dello spazio delle fasi in celle finite era un problema che lo aveva occupato molto a fondo e se Pauli non avesse enunciato il principio di esclusione ci sarebbe arrivato a partire dalla costante assoluta dell’entropia, un problema di cui si era interessato fin dal gennaio 1924, quando aveva scritto il lavoro sulla quantizzazione di sistemi contenenti particelle identiche. Subito dopo aver letto l’articolo di Pauli, Fermi si rende conto di possedere tutti gli elementi per formulare una teoria del gas ideale soddisfacente il principio di Nernst allo zero assoluto. Come è noto P.A.M. Dirac sviluppa questo tipo di statistica indipendentemente da Fermi. La prima applicazione della statistica di Fermi-Dirac viene fatta in ambito astrofisico. Il 10 dicembre dello stesso anno R. H. Fowler presenta alla Royal Society un lavoro intitolato Dense Matter [Materia densa] in cui mostra che un gas di elettroni all’interno di una nana bianca deve essere un “gas di Fermi” degenere. L’importanza della statistica di Fermi per gli elettroni in un metallo viene messa in luce da un articolo di Pauli di poco successivo (10 febbraio 1927), Sulla degenerazione del gas e il paramagnetismo, in cui “La statistica quantica del gas perfetto monoatomico che è dovuta a Fermi […] viene estesa al caso in cui gli atomi del gas possiedano spin e alla magnetizzazione di un tale gas”. In questo lavoro Pauli considera appunto gli elettroni di conduzione all’interno di un metallo come un gas perfetto degenere. Nel settembre del 1927, in occasione del Congresso di Como, Arnold Sommerfeld presenta una relazione in cui riesce a spiegare per la prima volta il contributo al calore specifico da parte degli elettroni di un metallo utilizzando la nuova statistica. Come è noto, in onore di Fermi, tutte le particelle che obbediscono a questo tipo di statistica, come gli elettroni, i protoni e i neutroni, vengono attualmente chiamate fermioni. Il nome di Fermi verrà anche adoperato, nell’abbreviazione corrente Fermi motion, per descrivere la distribuzione della quantità di moto in un nucleo, considerato un esempio di gas degenere di nucleoni. La nozione è importante perché questo moto contribuisce all’energia totale disponibile nelle collisioni fra una particella e un nucleo. Nei primi mesi del 1926 compare sugli Annalen der Physik il primo lavoro di Schrödinger sulla meccanica ondulatoria. Al suo ritorno da Firenze a Roma per le vacanze estive Fermi trova Pontremoli e Persico che studiano e discutono questa nuova formulazione della meccanica quantistica che fa uso di equazioni differenziali alle derivate parziali e quindi appare alla maggior parte dei fisici molto più accessibile rispetto alla “strana” matematica delle matrici utilizzata da Heisenberg. Una gran parte delle discussioni verte sulla possibilità di trovare qualche collegamento, per quanto vago, tra le idee, così inusuali, della meccanica ondulatoria e i concetti che avevano guidato il lavoro dei fisici atomici fino a pochi mesi prima.

1927

Dopo aver sviluppato la statistica di un gas di particelle che obbediscono al principio di esclusione di Pauli, Fermi applica lo stesso metodo per calcolare il potenziale efficace che agisce sugli elettroni di un atomo considerandoli come un gas di fermioni allo zero assoluto mantenuto intorno al nucleo dall’attrazione coulombiana. Da questa applicazione importante nasce il lavoro Un metodo statistico per la determinazione di alcune proprietà dell’atomo, oggi noto come metodo di Thomas-Fermi. Fermi non sa che L. H. Thomas è arrivato alle stesse conclusioni circa un anno prima, pubblicandole su una rivista non molto diffusa. Nel settembre del 1927, in occasione delle celebrazioni del centenario della nascita di Alessando Volta, viene organizzato un congresso internazionale di fisica a Como. Vi partecipano tutti i grandi della fisica mondiale. Arnold Sommerfeld presenta una serie di importanti risultati che mostrano l’importanza della nuova statistica di Fermi per l’interpretazione del comportamento degli elettroni nei metalli, assolutamente inspiegabile in base alle teorie classiche. Lo stesso Fermi mette in evidenza come, a questo punto, sia ormai del tutto chiaro che esistono due tipi di particelle, quelle che obbediscono alla statistica di Bose-Einstein, come nel caso dei quanti di luce, (attualmente chiamate bosoni) e quelle che obbediscono al principio di esclusione di Pauli, come gli elettroni e i protoni (attualmente chiamate fermioni) e che seguono appunto la statistica di Fermi-Dirac. Quando Fermi si stabilisce all’Università di Roma come titolare della cattedra di fisica teorica, non esiste alcun gruppo di ricerca. Persico è a Firenze, Corbino è impegnato su altri fronti e si impegna principalmente sull’attività didattica. Intorno a Fermi si forma il primo nucleo di una scuola italiana di fisica moderna. Su interessamento di Corbino Rasetti viene trasferito a Roma, mentre Emilio Segrè, Edoardo Amaldi e Ettore Majorana all’epoca sono ancora studenti, ma la “velocità della formazione di un giovane fisico alla scuola di Fermi era incredibile”, come ricorda Emilio Segrè. Più tardi si unirà al gruppo anche Bruno Pontecorvo. Fermi è un insegnante nato. La grande chiarezza e la nettezza dell’esposizione derivano non soltanto dalle sue profonde conoscenze e dalla sua eccezionale lucidità, ma anche dal lavoro autonomo fatto all’epoca in cui era studente. Ama tenere lezioni di fisica elementare perché attribuisce una grande importanza a una buona preparazione in fisica classica. Il suo corso di fisica matematica costituisce una specie di enciclopedia contenente elementi di elettrodinamica, di teoria della relatività, di teoria della conduzione del calore, di teoria dell’elasticità e della diffusione.

1928

Nel corso di quest’anno Fermi pubblica una serie di articoli in cui utilizza il modello di Thomas-Fermi per calcolare le proprietà degli atomi che variano con regolarità al variare del numero atomico. Fermi continuerà sempre ad applicare il suo metodo statistico a una numerosa serie di problemi appartenenti a campi molto diversi; molto più in là lo utilizzerà anche per eventi nucleari ad alte energie. Nel 1928 Fermi pubblica il brillante manuale Introduzione alla fisica atomica che riempie una lacuna importante nella manualistica universitaria in lingua italiana.

1929

Nel 1927 Dirac pubblica i primi lavori in cui estende sistematicamente le regole di quantizzazione dei sistemi meccanici ai campi elettromagnetici. Fermi approfondisce lo studio di questi lavori e durante l’inverno 1928-1929 decide, come fa spesso, di riformulare la teoria seguendo un approccio matematico a lui più familiare. Nel corso di queste ricerche personali, Fermi comunica regolarmente i suoi risultati ad allievi e amici, come Amaldi, Majorana, Racah, Rasetti e Segrè. Ogni giorno, alla fine del lavoro li raduna intorno al tavolo e in loro presenza inizia con l’elaborare prima la formulazione di base dell’elettrodinamica quantistica, di cui si sta interessando a fondo, e poi, prosegue facendo, una dopo l’altra, una lunga serie di applicazioni dei principi generali a particolari problemi fisici. Questo metodo, caratteristico di Fermi, di lavorare su un problema teorico “in pubblico” (per così dire) e di insegnare allo stesso tempo, gli permette di esprimere ad alta voce quello che sta pensando. Nel frattempo, nello scrivere i risultati alla lavagna, non salta mai un passaggio, procede lentamente, a velocità uniforme e senza esitazioni, indipendentemente dalla difficoltà della trattazione. L’articolo di Fermi “Quantum Theory of Radiation” [Teoria quantistica della radiazione] pubblicato nella Review of Modern Physics del 1932, che fornisce le prime nozioni di teoria dei campi, è una monografia su cui generazioni di ricercatori hanno imparato l’elettrodinamica. Da Hans Bethe viene considerato un “esempio insuperabile di come si possa esporre con semplicità una materia così complessa”. Eugene P. Wigner commenta a proposito: “Nessuno che non conoscesse a fondo tutte le complicazioni della teoria avrebbe potuto scriverlo e nessuno avrebbe potuto evitare più abilmente tutte le complicazioni”. Wigner e Victor Weisskopf si adopereranno per rendere rigorosa una regola di calcolo delle probabilità di transizione spontanea tra stati quantici che Fermi ricava con una matematica assai spregiudicata e che da lì in poi verrà chiamata Fermi’s golden rule [Regola d’oro di Fermi].

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