Dal mamba nero un analgesico migliore della morfina

Il veleno del mamba nero (Dendroaspis polylepis) può uccidere un uomo in pochissimo tempo. Venti minuti appena. Ora uno studio su Nature suggerisce però che lo stesso veleno di questo serpente potrebbe essere usato per produrre una nuova classe di anti-dolorifici. Un gruppo di ricercatori francesi ha infatti dimostrato  che le mambalgine, proteine presenti in questo veleno, hanno un effetto analgesico simile alla morfina e  inibiscono i canali ionici presenti sui neuroni responsabili della sensibilità al dolore.

“Le tossine contenute nel veleno dei serpenti sono usate da tempo per studiare i meccanismi molecolari alla base del dolore”, ha spiegato Ann Baron della Université de Nice-Sophia Antipolis, una delle autrici dello studio. Grazie a esse è stato possibile capire che la percezione del dolore dipende dall’attivazione di canali ionici acido-sensibili, chiamati Asics (acid-sensing ionic channels), presenti sulla membrana dei nocicettori (terminazioni nervose sensoriali che trasmettono gli stimoli dolorosi, appunto). “I nostri esperimenti”, ha continuato Baron, “hanno permesso però di isolare nel veleno del mamba nero anche proteine ad azione inibitoria, che abolisce il dolore e agiscono, pertanto, come analgesici”.

Le mambalgine identificate dagli scienziati sono catene polipetidiche che inibiscono i canali ionici di tipo Asics presenti sia a livello del sistema nervoso centrale che periferico. Nello specifico, quando queste proteine erano iniettate nella regione ventricolare del cervello dei topi, il tempo di reazione necessario per allontanare la zampa da una fonte di calore era più lungo rispetto ad animali non trattati. In altre parole, i topi a cui erano somministrate le mambalgine sopportavano meglio il dolore generato dal calore. Il loro effetto analgesico era paragonabile a quello della morfina, ma diversamente da questa le proteine velenose non inducevano assuefazione o problemi respiratori.

Secondo l’autrice, questi risultati sono importanti sia da un punto di vista meccanicistico – perché permettono di capire in maggiore dettaglio i processi fisiologici di risposta al dolore – sia da un punto di vista terapeutico. Infatti la scoperta delle mambalgine potrebbe permettere lo sviluppo di nuovi farmaci per combattere il dolore, più efficienti e con meno effetti collaterali.

Riferimenti: Nature doi:10.1038/nature11494
Credits immagine: Danleo/Wikipedia 

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