Dall’ex Urss risorge la scienza

Si chiamava Iuri Mierinov, aveva 45 anni. I vicini di casa lo hanno trovato morto nel suo appartamento di Dherzhinsk, nella Russia centrale. Morto di fame e di stenti, mentre la moglie Nadezhda, in fin di vita, è stata ricoverata all’ospedale della città. Ma Iuri e sua moglie non erano due “barboni”. Non avrebbero dovuto far parte di quell’esercito di diseredati e nuovi poveri che si ingrossa sempre più nella Russia post-comunista. Iuri era uno scienziato: per 18 anni era stato un chimico in un istituto di Dherzhinsk, che lavorava soprattutto su commesse militari, e dove anche la moglie era ricercatrice. Poi il crollo dell’Urss e del lavoro al centro, gli stipendi che si fanno sempre più esigui fino a esaurirsi del tutto, l’incapacità di reagire alla nuova situazione, di trovare un altro lavoro, magari di emigrare. E così sempre più giù, in un imbuto di povertà, isolamento e depressione, fino alla fine.

Un caso estremo quello dei coniugi Mierinov? Probabilmente sì. Ma anche emblematico dello stato della ricerca e soprattutto dei ricercatori nella nuova Russia. Quasi sempre coccolati e riveriti, ma comunque pagati, al tempo della falce e martello gli scienziati erano una delle categorie privilegiate. Poi le cose sono cambiate e assieme all’Urss sono evaporati anche i finanziamenti alle loro ricerche, il loro status e infine i loro salari.

Dunque le regole spietate del libero mercato non danno scampo a chi vuole continuare l’attività scientifica nella nuova Russia? Non tutti sono pessimisti. C’è chi, pur essendo consapevole delle gravi difficoltà attuali, nutre grandi speranze per il futuro. Come Maxim Khlopov, presidente del Centro per la fisica delle particelle cosmiche “Cosmion” di Mosca. Ecco come ha risposto alle domande di Galileo.

Professor Khlopov, il collasso dell’Unione Sovietica ha avuto un impatto drammatico sull’attività sientifica. Qual è in questo momento la situazione per i ricercatori russi sia nei grandi centri, come Mosca o San Pietroburgo, ma anche nelle città più periferiche?

“Innanzi tutto vorrei correggere un termine: in astrofisica collasso significa contrazione. L’Unione Sovietica non ha subito una contrazione, ma è andata in frantumi. E con lei sono andate in frantumi tutte le forme di organizzazione centrale, in particolare quelle della scienza fondamentale. Gli effetti più drammatici li hanno subiti le istituzioni scientifiche più legate al potere centrale, soprattutto quelle coinvolte nei programmi militari. Ma tutte le istituzioni e le vecchie forme di organizzazione della ricerca hanno avuto seri problemi. I singoli ricercatori si sono trovati di fronte a una situazione completamente nuova. E come per ogni cambiamento vi sono aspetti positivi e negativi. Prima, c’era solamente una singola fonte di guadagno: il proprio salario. Ora lo stipendio non basta a garantire la sopravvivenza. L’istituzione che ti paga, da sola, non riesce semplicemente a garantirti abbastanza denaro. Bisogna trovare altre forme di reddito e arrivare ai livelli di sopravvivenza sommando varie entrate. Allo stesso modo, anche l’attività di ricerca ha dovuto cercare nuove forme di organizzazione, adeguate alla nuova situazione. Penso che il Cosmion, il nostro Centro per la fisica delle particelle cosmiche fondato nel 1992, può essere un buon esempio. Il Centro è nato sulla scia della vecchia scuola degli astronomi e dei fisici russi che hanno studiato le relazioni tra la cosmologia e la fisica delle particelle. Ai nostri studi partecipano 46 gruppi provenienti da 22 istituti delle grandi città, come Mosca e San Pietroburgo, ma anche di Novosibirsk, Ulyanovsk, Nizhnyi Arkhyz e altri centri più piccoli. L’attività è finanziata dal governo nell’ambito del Programma nazionale per la ricerca in astronomia. Il denaro che riceviamo è quasi simbolico, ma riusciamo a finanziare direttamente i gruppi di ricerca e i singoli ricercatori”.

Ma in pratica come hanno reagito i ricercatori alla nuova situazione? Hanno cambiato lavoro, sono andati all’estero o hanno tentato di andare avanti nonostante tutto?

“Senza dubbio c’è stato, e c’è tutt’ora, una notevole “fuga di cervelli” verso altri lavori e verso altre nazioni. Ma, almeno nel mio settore, siamo riusciti a salvare l’eredità scientifica della scuola di Zeldovich e di Sakharov e proseguire i loro studi delle relazioni fondamentali tra l’universo e le particelle elementari. Non solo. Questi studi si sono evoluti in un nuovo settore indipendente: la fisica delle particelle cosmiche, appunto. I nostri progressi sono dimostrati dalle tre Conferenze internazionali “Cosmion” che abbiamo organizzato a Mosca nel 1994, nel 1996 e nel 1997. Il segnale più importante è la volontà dei nostri colleghi e amici all’estero di mantenere e rinforzare i contatti scientifici con noi. Quindi non credo che la “fuga di cervelli” sia una perdita irreversibile per la scienza russa. Insomma, bisogna cogliere gli elementi positivi della nuova situazione”.

Come vede il futuro per un giovane ricercatore nella Federazione russa?

“Ho l’impressione che il peggio sia passato, quindi sono cautamente e moderatamente ottimista. Per esempio, io tengo il corso di introduzione alla fisica delle particelle cosmiche all’Istituto di fisica e ingegneria di Mosca. Certo, non c’è più la grande competizione di 20 o 30 anni fa per entrare in una facoltà tecnica come la nostra. Ma, nonostante tutto abbiamo dai 10 ai 15 laureati all’anno. Uno o due di loro sono specializzati in fisica delle particelle cosmiche. E in questo momento non hanno una vita facile. Ma, come mi ha detto un giorno il premio Nobel Petr Kapitza, la carriera scientifica dovrebbe essere esponenziale: lavoro duro e crescita lenta all’inizio e poi una impennata veloce. Ecco: per la nuova scienza della nuova Russia io mi aspetto una crescita esponenziale. Sempre che non arrivi qualche altro cataclisma economico o sociale”.

Cosa si può fare per migliorare le cose?

“Sono decisamente entusiasta delle prospettive a lungo termine, ma la situazione non può certo cambiare da un giorno all’altro, né da un anno all’altro. Per questo siamo così grati ai nostri colleghi all’estero che ci conservano la loro stima e la loro fiducia. Ogni forma di supporto diretto ai ricercatori russi e alle loro attività non sarà mai apprezzato abbastanza. Il futuro è nella collaborazione internazionale. E centri come il nostro, con una struttura burocratica molto snella, sono efficaci. Per esempio, la Commisione governativa congiunta italo-russa, nell’autunno del ‘97, ha dato grande rilievo al progetto Astrodamus: un progetto per lo studio della materia oscura che portiamo avanti con i nostri colleghi di Roma e di Trieste e che pensiamo di ampliare con quelli di Trento e di Perugia”.

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