Del Dna non si butta via niente

Il Dna è di solito materia dei genetisti, oggetto di studio della biologia di base e motivo di speranza per la medicina. Ora però, una ricerca italiana, firmata su Science da Antonio Dell’Anno e Roberto Danovaro dell’Università Politecnica delle Marche di Ancona, gli attribuisce una parte diversa e in tutt’altro contesto. I ricercatori hanno scoperto infatti che il Dna, quando non serve più a governare il funzionamento di un organismo, gioca ancora un ruolo fondamentale nell’ambiente più remoto, ostile e inesplorato sulla Terra: gli abissi oceanici. Se il Dna negli organismi viventi è per antonomasia la molecola della vita, il codice che detta le leggi dell’ereditarietà, il materiale genetico da cui dipende ogni funzione e disfunzione, il Dna degli organismi morti è una irrinunciabile fonte di nutrimento per i batteri che vivono fino 8.000 metri sotto il mare. Ricco, oltre che di carbonio e azoto, di fosforo, elemento indispensabile nel ciclo biologico, sin dal primo anello della catena. In definitiva il “Dna morto” è determinante per il funzionamento dell’intero ecosistema terrestre, essere umano incluso. Il ciclo vitale marino è una ruota. I primi a farla girare sono i batteri, l’enorme biomassa microscopica e invisibile che popola le acque oceaniche. Per dare un’ordine di grandezza, la quantità di microrganismi nei mari di tutto il mondo è pari a 1029, un numero superiore alle stelle di tutte le galassie del cielo. “Abbiamo scoperto che il metabolismo dei batteri dipende al 50 per cento dal fosforo contenuto nel Dna rilasciato da animali e organismi morti”, spiega Danovaro. “I microorganismi si nutrono in parte del materiale extracellulare per la sopravvivenza e in parte operano un lavoro di decomposizione della molecola: convertono il fosforo, cioè, in una forma inorganica che viene utilizzata come nutriente dal fitoplancton e da altri organismi fotosintetizzatori, che a loro volta sono nutrimento di organismi più grandi”.Il “Dna morto” rappresenta il 90 per cento del Dna dei mari. Senza questo elemento cruciale, il fosforo (il 10 per cento del peso della molecola), verrebbe a mancare, l’ecosistema collasserebbe e così anche il sistema umano. “Sono gli oceani a far funzionare il pianeta: sono una risorsa di proteine in termini di pescato, regolano le piogge e il clima e hanno un effetto tampone nel ciclo dell’anidride carbonica”, spiega Danovaro. “I fondali oceanici sono l’ambiente più tipico della Terra: rappresentano il 65 per cento della superficie e oltre il 95 per cento del volume della biosfera, ovvero di ciò che ospita la vita. Gli esseri umani e le specie sulla superficie terrestre occupano, infatti, solo la punta dell’iceberg. Tuttavia, di questi ambienti estremi, inaccessibili persino ai grossi organismi marini e impossibili per la sopravvivenza, abbiamo esplorato solo una porzione infinitesimale, meno di quanto abbiamo fatto su Marte o sulla Luna”, spiega Danovaro.La scoperta che il Dna morto sia un serbatoio di nutrienti essenziali per il ciclo marino è il frutto di dieci anni di campagne oceanografiche, dal Mediterraneo all’Atlantico, dall’Atlantico al Pacifico, con strumentazioni molto sofisticate.

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