Tre fasi per definire l’evoluzione della malattia e sostanze chimiche che segnalano il suo sviluppo. Così da favorire la diagnosi dell’Alzheimer quanto prima possibile, anche se i sintomi non sono ancora evidenti. Sono le principali novità contenute nella prima revisione dei criteri diagnostici per l’Alzheimer avvenuta a 40 anni dalla pubblicazione della prima versione. “Opera dell’Institute of Ageing americana e dell’International Alzheimer Association, i nuovi criteri fanno discutere perché incidono profondamente sulla clinica e sui servizi ai malati”, spiega Orazio Zanetti, primario U.O. Alzheimer del Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia, che dedica il suo congresso annuale proprio a questo argomento il 21 settembre, in occasione della Giornata mondiale dell’Alzheimer.
I nuovi criteri classificano la malattia in tre fasi: quella pre-clinica, senza sintomi, quella prodromica, quando i segni cominciano a vedersi ma non inficiano le capacità del paziente, e quella di demenza conclamata, quando il malato non è più autonomo. “La neurodegenerazione è un processo lento, in atto 10-15 anni prima che sia visibile, e oggi sappiamo che alcune sostanze presenti nel liquor cerebrospinale e nel cervello segnalano la malattia anche in assenza di sintomi”, va avanti il geriatra. Ma se non ci sono terapie risolutive perché è importante che la diagnosi sia precoce? “Perché è un diritto del paziente e perché è solo nella fase asintomatica che si può stabilire un’alleanza fra medico, paziente e famiglia per migliorare la gestione della malattia”, conclude Zanetti.
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