Diario dell’Italia alla deriva

Riccardo Iacona
L’Italia in presa diretta
Chiarelettere 2010, pp. 170, euro 13,60

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“Sapete qual è la mia ossessione più grande? Non riuscire a raccontare neanche una minima parte di tutto quello che c’è da raccontare”. Così comincia L’Italia in presa diretta di Riccardo Iacona, un viaggio nel Paese abbandonato dalla politica (come recita il sottotitolo). Iacona racconta l’Italia che respinge i migranti e le bugie del governo al riguardo, la solitudine dei magistrati e delle forze dell’ordine contro la criminalità organizzata, il disinteresse per il rapporto Barbieri che nel 2000 aveva allertato le istituzioni sui rischi sismici, i disastrosi effetti della privatizzazione dell’acqua e della cattiva gestione delle case popolari. E’ uno squarcio nella facciata edulcorata della informazione, costruita sull’ossessione della cronaca scandalistica e sulla propaganda e poco incline a raccontare i fatti. Stasera Iacona presenta il suo libro al Circolo degli Artisti di Roma. Lo abbiamo intervistato.

Iacona, lei ha scritto “l’avarizia di futuro” riferendosi alla scuola, ma potrebbe essere un commento valido anche per la ricerca, l’università, il lavoro. Questa avarizia di futuro sembra una cecità autolesionista. Chi ci guadagna?

“La politica di corto respiro mantiene e garantisce le rendite di posizione, cioè i privilegi di pochi. Se la formazione e la ricerca fossero valorizzate ci sarebbero competizione e meritocrazia e gli equilibri cambierebbero profondamente. Viviamo in una economia un po’ sovietica: sono sempre gli stessi a eseguire i grandi lavori pubblici. Per esempio, le aziende che hanno lavorato alla Tav ci campano da 20 anni. Una piccola parte del Paese si arricchisce sempre più senza apportare valore aggiunto. La forbice sociale si allarga sempre più. Nella puntata di domenica scorsa, 3 ottobre, Presa Diretta ha raccontato la crisi in un posto insolito: a Reggio Emilia, dove c’era l’industria metalmeccanica di precisione più forte del mondo. In 2 anni e mezzo 60mila persone su 240mila hanno avuto problemi con il lavoro. Sono in cassa integrazione, nelle liste di disoccupazione o hanno perso il posto. Molti vivono con il 50% in meno, magari sono moglie e marito e quindi quel dimezzamento pesa il doppio. È una vera e propria ondata di miseria, una epidemia di povertà senza prospettiva – se non quella di un lavoro precario ottenuto tramite le agenzie interinali. Ma anche quelle stanno chiudendo”.

Perché è così difficile capire che investire sulla formazione e sulla ricerca sarebbe una scelta conveniente per il nostro Paese?

“L’idea di affrontare le questioni a media o a lunga distanza non è proprio all’ordine del giorno della nostra politica, e questi sono due argomenti che hanno bisogno di un panorama temporale ampio. La politica si comporta come se fosse miope; l’opinione pubblica si esprime in qualche modo, magari sui forum o internet. Il dibattito è alto, la sostanza c’è. Però rimane imbrigliato nella rete. Le Tv generaliste se ne disinteressano, a parte quando c’è una necessità di cronaca, ma poi abbandonano il tema. Sono succubi dell’agenda dei partiti. Il risultato è un Paese anestetizzato, con un grave problema di analfabetismo di ritorno. Un caso esemplare è costituito dalla riforma Gelmini”.

Come ci si ribella alla rassegnazione?

“La rassegnazione è figlia di questo mondo della informazione anestetizzato: la gente vede che non cambia niente, dopo mesi, dopo anni. Sulla giustizia siamo bloccati da tempo, e magari il governo cadrà per la questione della casa di Fini… Cosa significa per quelle centinaia di migliaia di persone che non sanno che futuro avranno assistere ai litigi claustrofobici e alla spartizione di potere? È un incagliamento profondo della democrazia e della politica. Gli italiani sono eroi, con i nonni coprono i buchi del welfare e si arrangiano in tutti i modi.Sui buchi nei bilanci della sanità stiamo rischiando il non ritorno: è una voragine che si autoalimenta. Ci vorrebbe un grosso sforzo, un patto nazionale.
Viviamo in una dimensione europea, e forse questa è anche la nostra salvezza. Solo che non possiamo immaginare di tornare indietro, quando le navi portavano gli italiani a cercare fortuna lontano. La mobilità sociale e economica, peraltro, oggi riguarda i privilegiati: chi può andare via o può mandare i propri figli a studiare fuori. Dobbiamo vincere la sfida qui.
Guardare l’Italia da fuori fa impressione. Il paragone è impressionante. Ti fa rabbia vedere come gli altri lavorano sui temi del futuro e noi rimaniamo nelle sabbie mobili. Dobbiamo riprenderci il futuro. Si può fare, abbiamo risorse incredibili. La Germania in 10 anni ha cambiato la politica energetica. 10 anni! Se non si inizia mia, non si cambia mai”.

Finiamo con una bella storia?

“I 40.000 che hanno manifestato alla fine di settembre contro la criminalità organizzata a Reggio Calabria. Non era affatto scontato. Vedere tutte quelle persone in piazza ti apre il cuore. Anche perché ci vuole molto coraggio per farlo. Di fronte a una simile manifestazione capisci che la gente c’è, e che su un progetto di uscita dalla crisi e dalla illegalità è disposta a fare un patto con la politica. Ecco, ora tocca alla politica”.

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