Difendersi è bene, attaccare è meglio

Un faccia a faccia con un calabrone gigante richiede stratagemmi di guerra molto particolari. Un gruppo di entomologi guidato da Alexandros Papachristoforou, dell’università di Tessalonica (Grecia), ha infatti scoperto che le api di Cipro attaccano l’insetto in sciami, uccidendolo per soffocamento. Lo studio, pubblicato su Current Biology, descrive una strategia che sfrutta il vulnerabile meccanismo di respirazione dei calabroni e rappresenta una forma unica di difesa tra gli insetti.

Le api possono difendersi in molti modi, non solo attraverso le punture. Alcune sottospecie, come quelle giapponesi, attaccano il calabrone in migliaia, lo circondano e, vibrando i muscoli, aumentano la temperatura dell’insetto fino al livello fatale di 45 °C. Questo stratagemma non funziona però con il calabrone orientale (Vespa orientalis), che è nativo di Cipro e di altri luoghi caldi, come l’Arabia Saudita, e quindi sopporta bene le alte temperature. Qui le api utilizzano la tecnica del soffocamento. I calabroni respirano attraverso delle piccole aperture regolabili poste nell’addome, chiamate spiracoli: per inspirare rilassano i muscoli e scoprono i forellini, altrimenti coperti da parte dello scheletro esterno. Il gruppo di Papachristoforou si è chiesto se il solo peso dello sciame potesse ostruire gli spiracoli, impedendo ai calabroni di inspirare nuova aria. Per scoprirlo i ricercatori hanno utilizzato delle microscopiche aste di plastica che tenessero aperti gli spiracoli, consentendo all’aria di passare, indipendentemente dal peso esercitato sul calabrone. Il risultato è stato che le api impiegano il 50 per cento in più (circa un’ora e mezza) per uccidere questi calabroni, rispetto a quanto rilevato negli esperimenti di controllo.

Secondo Papachristoforou si tratta di un mirabile esempio dell’evoluzione di una strategia tra preda e predatore: “Cipro è isolata, ciò significa che le api qui non devono fronteggiare molte invasioni di nuovi predatori. Ciò ha consentito loro di migliorare i meccanismi di difesa, sfruttando le debolezze dei calabroni nativi”. (m.r.)

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