Diete, digiunare non è l’ideale. Ecco perché

Le diete mima digiuno sono quasi diventate una moda negli ultimi anni, soprattutto da quando il biologo italiano Valter Longo, con il libro La Dieta della Longevità, ne ha sostenuto l’efficacia per chi vuole mantenersi in forma e in salute. Alternare periodi di alimentazione normale a periodi a quasi-digiuno non solo fa perdere peso, ma riduce il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e diabete, e può aiutare a combattere il cancro. Un recente studio pubblicato su JAMA Internal Medicine spiega però che la dieta a giorni alterni potrebbe essere più difficile da seguire di una dieta quotidiana a moderata restrizione calorica e non più efficace per far perdere peso e prevenire malattie cardiovascolari.

Vista la popolarità della dieta del digiuno intermittente, non sorprende che si siano formate correnti di sostenitori che la seguono nei modi più diversi. Alcuni suggeriscono di ridurre al minimo il consumo di calorie per cinque giorni consecutivi una volta al mese, altri sono seguaci del formato 5:2, secondo il quale si può mangiare liberamente per cinque giorni a settimana e poi digiunare nei due giorni rimanenti. Altri ancora invece aderiscono al regime dei giorni alterni, mangiando poco o nulla un giorno sì e uno no.

Gli autori dello studio pubblicato su JAMA si sono concentrati su quest’ultima variante della dieta mima digiuno e hanno reclutato 100 persone obese o in sovrappeso per valutarne l’efficacia rispetto a una dieta a restrizione calorica quotidiana. Chi nello studio è stato sottoposto a una dieta tradizionale doveva assumere il 75% delle calorie che di solito consumava prima della dieta, mentre chi ha seguito la dieta intermittente ha consumato il 25% e il 125% delle calorie a giorni alterni.

In questo modo, alla fine della dieta, i due gruppi avevano consumato in totale la stessa quantità di calorie, ma distribuite in modo diverso nel corso del tempo. Dopo sei mesi di dieta, i partecipanti di entrambi i gruppi erano riusciti in media a perdere il 6% del proprio peso iniziale. La dieta intermittente non è quindi stata più efficace di quella tradizionale nel dimagrimento, e anche i valori di pressione sanguigna, trigliceridi e insulina (parametri utilizzati per monitorare lo stato di salute cardiovascolare) non erano significativamente diversi tra i due gruppi.

Una differenza che ricercatori hanno trovato è stata invece nel numero di partecipanti che hanno abbandonato la dieta. Tra quelli che facevano digiuno alternato, il 38% ha rinunciato alla dieta prima di portarla al termine, mentre solo il 29% del gruppo di controllo l’ha abbandonata. Chi seguiva la dieta intermittente era anche più propenso a sgarrare rispetto al regime che gli era stato prescritto: mangiavano troppo nei giorni di magra e troppo poco in tutti gli altri.

Gli stessi autori concordano sul fatto che per ora lo studio abbia riguardato un numero limitato di persone, ma quello che emerge è che quando si tratta di diete non esiste una ricetta universale adatta a tutti.

Riferimenti: JAMA Internal Medicine

Alice Sarah Breda

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