“Dna spazzatura” da buttare, o no?

I topi privati del loro “Dna di scarto” non codificante, sembrano comunque sopravvivere normalmente. Più del 90 per cento del genoma di esseri viventi come topi e umani non sembra avere particolari funzioni ma di fatto tali parti di Dna si sono conservate nel tempo senza modificarsi. Ora però uno studio, pubblicato questo mese in “Developmental Cell”, spiega come queste parti di Dna non-codificanti, possano comunque partecipare allo sviluppo embrionale. Lo studio è stato effettuato da Barbara Knowles e i suoi colleghi del laboratorio del Jackson Laboratory in Bar Harbor, nel Maine. Knowles pensa che il “Dna di scarto” possa controllare la differenziazione embrionale, attivando o riprogrammando i cromosomi parentali. Un altro team di ricercatori del laboratorio nazionale Lawrence Berkeley nella California, guidati dal professor Edward Rubin, sostiene invece che cancellare le grandi sezioni del Dna non-codificanti dai topi sembra non interessare il loro sviluppo, longevità o riproduzione. Attraverso più di un milione di accoppiamenti, la squadra di Rubin ha generato topolini con una percentuale di Dna non codificante pari all’un per cento del loro genoma ma in questi organismi non è stato riscontrato nessuna anomalia particolare. David Haussler dell’Università della California, Santa Cruz, che ha effettuato ricerche su queste parti di Dna, sostiene che le regioni non-codificanti possano avere un effetto troppo lieve sull’organismo, quindi osservabile solo in tempi molto lunghi. “La probabilità di sopravvivenza in laboratorio di una generazione o due non è la stessa di quella riscontrabile in natura nell’arco di milioni di anni”, sostiene Haussler, “la selezione Darwiniana è una prova molto dura da sostenere”. (m.z.)

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