Donne contro le mutilazioni

Ousmane Sembene
Moolaadè
Coproduzione Senegal, Francia, Burkina Faso
Distribuzione Lucky Red, patrocinio Amnesty International

I colori tipici dell’Africa, i simboli e i ritmi musicali possono a volte essere solo uno sfondo, un contorno. Soprattutto se il vero protagonista è il coraggio. È quello che succede nel film “Moolade” del senegalese Ousmane Sembene, vincitore del Certain Regard alla 15ª edizione del Festival del Cinema Africano a Cannes e nelle sale cinematografiche italiane dall’8 marzo con il patrocinio di Amnesty International.

Girato in un villaggio di campagna del Burkina Faso costruito intorno a una delle più antiche moschee dell’Africa occidentale, il film è un affresco corale che racconta una storia di lotta ed emancipazione femminile: le donne si ribellano contro gli anziani maschi per proteggere alcune ragazzine che si rifiutano di sottoporsi alla pratica della mutilazione genitale, la salindé.

La protagonista è Collè Gallo Ardo Sy, seconda moglie di un uomo rispettato nel villaggio, che a causa dell’infibulazione ha perso due bambini durante il parto e si è perciò rifiutata di sottoporre al rito la sua unica figlia, nata in seguito con un doloroso cesareo, rendendola agli occhi di tutti una “bilakoro”, una ragazza impura e non adatta quindi al matrimonio. Ma Collé si spinge oltre: offre asilo (il moolaadé appunto) a quattro ragazzine fuggite dalle mammane per non essere escisse. Una presa di coscienza, la sua, maturata da esperienze personali ma anche dalla radio, presenza costante tra le donne del villaggio.

È da qui, infatti, che la donna ascolta la voce dell’Imam che smentisce i saggi della tribù: il Corano non prevede che le donne siano mutilate e perciò non è sbagliato opporsi a questo rito. Alla fine la rivoluzionaria Collé la spunterà, vincendo contro un retaggio antico e barbaro e soprattutto offrendo una speranza di cambiamento per l’Africa. Il raggiungimento di una simile consapevolezza, infatti, è ancora lontano a venire in alcune zone del continente. Sebbene in Burkina Faso, dove il film è stato girato, la pratica sia proibita e contrastata per legge, molte ragazze l’hanno già subita e la subiscono ancora in molti paesi. “La circoncisione femminile è un problema che riguarda 38 paesi africani” ha raccontato il regista Sembene, che ha portato in giro la pellicola con un camion nelle campagne del Mali, del Senegal, del Burkina Faso, della Costa d’Avorio e della Guinea Bissau per farlo conoscere alle popolazioni.

Ma le mutilazioni genitali non sono diffuse solo in Africa. “Questa forma di violenza viene praticata anche in alcune zone della penisola arabica e dell’Indonesia ed è diffusa nelle comunità immigrate d’Europa, America e Oceania. Circa 120 milioni di bambine e ragazze l’hanno subita e ogni anno altri 3 milioni di esse vi vengono costrette”, ha detto Michela Goito di Amnesty dopo l’anteprima del film svoltasi il 3 marzo scorso, esprimendo soddisfazione per la legge approvata dal governo italiano contro le mutilazioni e qualche perplessità per il mancato riconoscimento della fuga da questa minaccia come motivo per richiedere il diritto d’asilo. “Bisogna continuare ad aiutare le comunità di donne a liberarsi delle mutilazioni. Finora abbiamo messo loro in condizioni di parlare con i governi ma spesso anche se si raggiunge l’obiettivo di eliminare il rito in un villaggio alla fine si ripropone a causa dei matrimoni tra diverse tribù”, spiega Emma Bonino, Parlamentare Europea de La Rosa nel Pugno. “Per questo è necessario implementare ed estendere a più paesi il protocollo di Maputo, entrato in vigore il 29 novembre 2005, che sancisce l’illiceità della pratica delle mutilazioni genitali femminili sia civilmente che penalmente considerandole una violazione dei diritti fondamentali della persona umana”.

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