Doppia elica style

Forma arcaica, presente in tutte le culture, la spirale è l’elemento grafico distintivo del Dna. Una rappresentazione che è ormai entrata nell’immaginario del Novecento, dal giorno in cui James Watson e Francis Crick hanno svelato al mondo la struttura dell’acido deossiribonucleico grazie a un modellino di aste e piastre metalliche. “Representation of the Double Helix” è una mostra che celebra il cinquantenario della scoperta della doppia elica a partire dall’uso che della sua immagine si è fatto nella società. Allestita al Whipple Museum of the History of Science di Londra, e curata da Soraya de Chadarevian, ricercatrice presso il Dipartimento di Storia e Filosofia cella Scienza dell’Università di Cambridge, l’esposizione parte dai primi anni successivi a quello della scoperta, dominati dalle molteplici raffigurazioni apparse nelle pubblicazioni scientifiche. Sarà soltanto alla fine degli anni Cinquanta infatti che la teoria di una doppia elica a filamenti antiparalleli in grado di svolgersi e replicarsi, sempre più supportata da prove biochimiche, comincerà a prendere piede. L’entusiasmo della comunità scientifica viene trasmesso all’opinione pubblica. L’aver colto il mistero della vita provoca nell’essere umano un senso di potenza e di avvicinamento a dio, come testimonia il valore simbolico e spirituale attribuito alla doppia elica da alcune opere di Salvador Dalì. Ma con i primi anni Settanta e la nascita dell’ingegneria genetica la potenza comincia a diventare una minaccia. Così si arriva presto alle raffigurazioni del superuomo, per poi approdare al problema dei brevetti e ai dibattiti sulle biotecnologie: lo scheletro della molecola di Dna ricoperto da mele e vegetali geneticamente modificati condiscono il “Frankenstein Food”, la rivisitazione contemporanea del vecchio Fast Food. La galleria di immagini prosegue con i più moderni look della doppia elica, che con il suo sinuoso andamento elicoidale ispira complessi architettonici, braccialetti colorati e ampolle di profumo la cui etichetta informa il consumatore: “non contiene Dna”. Per capire in che modo l’immagine della doppia elica sia diventata un’icona del nostro tempo, Galileo ha intervistato Soraya de Chadarevian.Dottoressa de Chadarevian , quando è nata l’idea di allestire una mostra del genere?“Diversi anni fa, indipendentemente dalla ricorrenza del cinquantesimo anniversario del Dna. Studiando la storia della biologia molecolare fui colpita dal potere iconico dell’immagine della doppia elica, dalla sua ampia diffusione nelle pubblicazioni scientifiche e nei media, nei messaggi commerciali, nei beni di consumo e nell’arte. Mi sembrò quindi che seguirne il percorso dalla sua produzione in laboratorio alla sua riproduzione in tutti questi diversi ambiti potesse testimoniare il modo in cui la genetica moderna stava permeando la nostra cultura. E documentare tutto ciò un modo per rendere la gente consapevole. Era la metà degli anni Novanta, quando ancora il dibattito sui temi della genetica non era ancora così acceso. La mostra fu allestita allora presso la Clinical School dell’Università di Cambridge. In seguito ci fu chiesto di riproporla per il cinquantenario. Così adesso l’abbiamo aggiornata includendo le immagini relative al completamento del Progetto Genoma Umano e alle problematiche riguardanti la brevettabilità dei geni, la clonazione e la produzione di organismi transgenici”.Come mai l’immagine del Dna ha investito aspetti della cultura apparentemente così distanti e estranei alla scienza?“Nella maggior parte dei casi esiste una sorta di richiamo alla scienza: per esempio quando un profumo si chiama Dna e la sua bottiglia è a forma di elica la sua attrattiva potrebbe essere quella di venire percepita come un prodotto “scientifico”. Ma è altrettanto chiaro come a volte è l’elemento estetico della forma (o il suo nome esotico in questo caso) a catturare la gente. Proprio il fascino della forma a spirale, un simbolo antico appartenente a diverse culture, è stato sicuramente decisivo nel fare la fortuna della doppia elica. Comunque uno dei messaggi di questa mostra è certamente anche il fatto che la scienza può arrivare molto più in là di quanto si pensi, toccando tutti gli aspetti della nostra cultura e diventandone parte integrante”.Queste raffigurazioni esprimono il desiderio dell’opinione pubblica di partecipare al dibattito scientifico? “In alcuni casi sicuramente sì, come dimostrano per esempio le locandine che commentano le attuali dispute sull’introduzione del fingerprinting genetico o sugli organismi “Frankenstein”, ma anche le opere d’arte che racchiudono l’immagine della doppia elica e il suo significato”.Spesso la visione della scienza e delle biotecnologie da parte dei non addetti ai lavori è basata su false credenze. Come è possibile avvicinare la gente alle problematiche scientifiche?“Le immagini che mostriamo non sono direttamente correlate ai fatti scientifici, ma piuttosto al modo in cui la società risponde a certi suoi sviluppi. A questo proposito io non parlerei di giusto o sbagliato. Ogni interpretazione in questo senso è valida. Di certo è interessante il fatto che le rappresentazioni popolari della doppia elica si siano focalizzate sulla forma elicoidale piuttosto che sull’aspetto di complementarietà della struttura che tanto eccitò i biologi ai tempi della scoperta. Spesso poi l’elica appare con andamento sinistrorso invece che destrorso come è in effetti nella cellula. Le raffigurazioni della molecola vengono semplificate, ma è importante notare che furono gli scienziati stessi a dare inizio a questa tendenza quando, nella loro prima pubblicazione, Watson e Crick presentarono un modello schematico della molecola disegnato da Odile, la moglie di Crick, invece che una fotografia del loro più complesso modello”.Eventi culturali e di intrattenimento possono diventare un buon veicolo di informazione e sensibilizzazione?“Sì, ne sono sicura. Comunque, come ho detto prima, la nostra esposizione non ha lo scopo di trasmettere una conoscenza scientifica di per sé. Piuttosto l’intento è quello di dare uno spunto di riflessione sull’impatto della moderna cultura genetica e sui suoi molteplici significati o, più in generale, sul ruolo che ha la scienza nella nostra società. La visita non richiede alcuna conoscenza biologica e proprio per questo è indirizzata a un pubblico ampio”.

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