Dora si schiera contro l’impact factor

    Un altro mondo è possibile, anche quando si tratta di valutare il peso delle pubblicazioni scientifiche. Il compito di guardare oltre spetta alla Declaration On Research Assessment (Dora), una dichiarazione sostenuta da editori di riviste scientifiche e accademici per abolire l’impact factor, il valore in base al quale è definita l’influenza dei Journal. L’iniziativa è sostenuta anche da un editoriale apparso sull’ultimo numero di Science. Il messaggio è chiaro: servono nuovi modelli.

    Dora è nata in occasione del meeting dell’American Society for Cell Biology (Ascb) tenutosi nel dicembre 2012 e ha già raccolto l’adesione di 78 organizzazioni e 155 esponenti accademici. Tra i firmatari spiccano American Association for the Advancement of Science (Aaas), Embo, Fondazione Telethon e PloS: chiedono di superare il modello del journal impact factor (Jif) e slegare le pubblicazioni dalla valutazione puramente numerica. Dopo tutto, si sa che i paradigmi scientifici – come diceva Thomas Kuhn – vanno incontro a crisi prima di essere superati.

    Come si legge sull’editoriale di Science, l’impact factor sarebbe finito del tutto fuori strada. Nato come un indicatore della qualità delle pubblicazioni scientifiche, si è trasformato in una metrica del successo per gli scienziati. I ricercatori si rivolgerebbero soprattutto alle riviste con un valore più alto, sebbene un alto Jif non sia necessariamente specchio di buone performance. Tutto dipende dal modo in cui viene calcolato su base annuale: infatti, è la media del numero delle citazioni degli articoli in una rivista ricevute dall’esterno.

    A prescindere dalla qualità degli articoli, un impact factor calcolato in base alla media, e non alla mediana, può portare a risultati alterati. “Il mio esempio preferito riguarda il primo studio sul sequenziamento del genoma umano”, ha detto Bernd Pulverer, chief editor dell’Embo Journal, “si tratta di un articolo che, essendo stato citato quasi 10mila volte, ha incrementato sensibilmente il Jif di Nature per un paio d’anni”.

    L’impact factor avrebbe anche il difetto di condizionare le scelte dei ricercatori non solo per quanto riguarda la rivista a cui rivolgersi, ma addirittura il campo di studio da affrontare. Fare ricerca in nuove branche inesplorate della scienza diventa sconsigliabile, vuoi perché i giornali di tendenza si occupano di argomenti mainstream, vuoi perché il Jif viene calcolato a partire almeno dal terzo anno di pubblicazione dei journal.

    In poche parole, a causa dell’impact factor gli scienziati tenderebbero a concentrare i propri sforzi in settori già sovrappopolati. Il danno che ne deriva non colpisce solo i centri di ricerca, costretti a rinunciare all’esplorazione di nuovi orizzonti, ma anche le riviste stesse. I ricercatori spesso sono portati a subissare di richieste di pubblicazione i journal con alto impact factor per il semplice fatto di ottenere visibilità e riconoscimento accademico.

    Le richieste di Dora cercano di trovare un modello alternativo al Jif, un set di valutazione che non tenga conto del semplice numero di citazioni ma, soprattutto, del valore qualitativo del singolo articolo. Una ricerca lunga e rischiosa, anche se pubblicata su un journal minore, deve poter avere il giusto riconoscimento. Forse la soluzione riguarderà più gli scienziati che gli editori (vedi Galileo: Come predire il successo di uno scienziato), l’importante è non avere paura di mettere in discussione i modelli consolidati. La scienza avanza così, un errore dopo l’altro.

    Riferimenti: Science Doi: 10.1126/science.1240319

    Credits immagine: Nic’s events/Flickr

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