Il difficile cammino del disarmo

La notizia della distruzione di Hiroshima, e poi di Nagasaki (1), causò costernazione in tutto il mondo (ma non a Los Alamos, salvo nella coscienza di pochi; e forse non in coloro che temevano di venire coinvolti in una sanguinosa invasione del Giappone prima che tale paese accettasse di arrendersi, cosa che invece accadde pochi giorni dopo la distruzione di Hiroshima e Nagasaki). Fu subito evidente che la stessa sopravvivenza della nostra civilizzazione era messa a rischio dallo sviluppo di strumenti di distruzione così potenti.

La prima risoluzione dell’Assemblea delle Nazione Unite, create subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale nella speranza di offrire un meccanismo di pacifica risoluzione ai conflitti internazionali, riguardò per l’appunto tali armi nella speranza di avviare un processo che ne impedisse lo sviluppo e la diffusione.

Il dopoguerra e il Non Proliferation Treaty

Purtroppo le tensioni del dopoguerra, e in particolare il conflitto ideologico e geopolitico fra democrazie occidentali e mondo comunista, non hanno permesso di raggiungere un accordo che evitasse una corsa al riarmo nucleare.In meno di un decennio la messa a punto di esplosivi basati su reazioni nucleari di fusione permise la costruzione di armi termonucleari dalla resa energetica migliaia di volte superiore a quella delle bombe di Hiroshima e Nagasaki. La più potente bomba di questo tipo, sperimentata con un’esplosione ad alta quota dall’Unione Sovietica al tempo di Nikita Krushev (contro il parere di Andrei Sakharov, la cui dissidenza ebbe inizio proprio in queste circostanze), aveva una resa energetica di oltre cinquanta megatoni (equivalente all’energia che si libererebbe nell’esplosione di cinquanta milioni di tonnellate di tritolo, cioè cinquanta miliardi di chilogrammi di tritolo) (2).In quegli anni vennero realizzati molti diversi tipi di armi nucleari: bombe aviotrasportate (anche con rese energetiche di alcuni megatoni), testate di missili (con gittate assai diverse, da parecchie migliaia a poche decine di chilometri), proiettili di artiglieria, siluri, bombe di profondità, mine (anche trasportabili da una sola persona, per eventuali azioni di commando).Il numero di armi nucleari, specialmente negli Stati Uniti e in Unione Sovietica, aumentò rapidamente arrivando a superare, complessivamente, le sessantamila unità nel 1980, mantenendosi al di sopra di tale cifra fino al 1990 (3). Negli anni aumentò anche il numero di paesi che si dotarono di un armamento nucleare. Dopo gli Stati Uniti (1945), l’Unione Sovietica (1949), la Gran Bretagna (1953), la Francia (1960) e la Cina (1964). Successivamente, ma in maniera non dichiarata, Israele acquisì un arsenale nucleare (peraltro costituito da ordigni presumibilmente mai sperimentati) e recentemente, in maniera dichiarata, anche India e Pakistan, che effettuano esplosioni nucleari sperimentali sotterranee (per evitare di violare il trattato che proibisce le esplosioni nucleari non sotterranee) (4).

Alla fine degli anni Sessanta venne concordato il Trattato contro la Proliferazione delle armi nucleari (Non Proliferation Treaty, NPT), che comporta un accordo fra i cinque paesi “ufficialmente” in possesso di armi nucleari, e tutti gli altri. I paesi militarmente nucleari si impegnano a non aiutare altri paesi ad acquisire armi nucleari, e specialmente a rinunciare alle proprie, o quanto meno a condurre in “buona fede” negoziati a tal fine. I paesi militarmente non nucleari si impegnano a mantenere tale status. I paesi che lo desiderino possono acquisire e sviluppare tecnologie nucleari di pace. Inizialmente l’NPT venne accettato e promosso da solo tre dei cinque paesi militarmente nucleari (la Francia di De Gaulle e la Cina di Mao si dichiararono generalmente contrarie ad accordi di controllo degli armamenti e disarmo), e non da tutti i paesi militarmente non nucleari. Ma in seguito il numero dei paesi contraenti crebbe, fino ad includere tutti i paesi del mondo, con la sola eccezione di Israele, India e Pakistan (recentemente la Corea del Nord ha dichiarato l’intenzione di recedere da tale trattato).

Inoltre il trattato, che prevedeva che la sua durata venisse fissata in maniera definitiva dopo 25 anni, venne esteso a tempo indeterminato. Il trattato prevede una Conferenza di rassegna ogni cinque anni, l’ultima ha avuto luogo lo scorso maggio. Ma la sua stessa sopravvivenza appare oggi a rischio, principalmente per la riluttanza dei paesi militarmente nucleari, in primo luogo gli Stati Uniti, a ottemperare all’accordo avviando un processo che conduca verso l’eliminazione delle armi nucleari. In questo contesto è politicamente assai difficile convincere quei paesi in cui vi sono forti spinte, di gruppi di potere, ma anche di opinioni pubbliche, all’acquisizione di un proprio armamento nucleare, a continuare ad aderire e a osservare la lettera, nonché lo spirito, dell’NPT. D’altronde la sopravvivenza “in buona salute” dell’NPT è ovviamente essenziale per impedire che collassi il regime di non proliferazione delle armi nucleari, che ha finora largamente retto. La verifica dell’osservanza dell’NPT da parte dei paesi che ne sono parte è affidata all’Agenzia per l’Energia Atomica di Vienna (IAEA, International Atomic Energy Agency,) che esercita a tal scopo una supervisione delle attività nucleari pacifiche dei paesi militarmente non nucleari. L’efficacia di tale azione di verifica è stata rafforzata di recente, dopo che la possibilità di sfuggire ai controlli dell’IAEA era risultata evidente dagli esempi dell’Iraq e della Corea del Nord; ma affinché tali misure entrino in vigore si richiede la firma e la ratifica di un apposito Protocollo, che alcuni paesi considerati “a rischio di proliferazione nucleare”, come l’Iran, sono tuttora assai riluttanti a fare (al momento della stesura definitiva di questo testo l’ Iran ha firmato tale Protocollo, ma non lo ha ancora ratificato).

Di grande utilità per rafforzare il regime mondiale di non proliferazione delle armi nucleari è l’esistenza di una serie di Zone Libere dalle Armi Nucleari (NWFZs, Nuclear Weapon Free Zones), patti regionali con accordi di mutue ispezioni che attualmente coprono larga parte del globo, in particolare l’intero emisfero sud. Accordi di questo tipo, fra paesi militarmente non nucleari (ai paesi nucleari si richiede solo un’adesione dall’esterno, essenzialmente l’impegno a non introdurre armi nucleari in, e a non minacciarne l’uso contro, paesi di una NWFZ), sono sinergici rispetto all’NPT, e hanno il pregio di non esser denunciabili come un “accordo fra disuguali”, come accade con l’NPT di cui spesso si critica l’aspetto “discriminatorio”.

Il Comprehensive Test Ban Treaty

Un’altra importante misura contro la proliferazione delle armi nucleari sono i trattati che proibiscono le esplosioni nucleari sperimentali. Il primo di tali trattati risale al 1963 e mise al bando le esplosioni nucleari non sotterranee (quelle sotterranee non erano comprese, in quanto considerate non rivelabili). Un successivo trattato che mette al bando tutte le esplosioni nucleari, senza eccezioni (CTBT, Comprehensive Test Ban Treaty), venne approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 settembre 1996, e aperto alla firma il 24 settembre dello stesso anno. 71 Stati, compresi i 5 paesi (USA, Russia, Gran Bretagna, Francia, Cina) considerati militarmente nucleari nell’ambito dell’NPT, firmarono quello stesso giorno, e molti altri successivamente. Affinché il CTBT entri in vigore però occorre che sia firmato e ratificato da 44 paesi, identificati come possessori di un programma nucleare (pacifico) con reattori di potenza. Tre di questi, non hanno firmato il CTBT e non sembrano avere intenzione di farlo (per il momento); inoltre, con il passaggio negli Stati Uniti dall’Amministrazione Clinton (favorevole a una politica di controllo degli armamenti e di accordi di disarmo) a quella di George W. Bush (caratterizzata da scetticismo e in alcuni casi vera e propria avversione ai trattati di controllo degli armamenti e disarmo), la prospettiva che tale paese ratifichi il CTBT appare per ora alquanto remota (vi sono addirittura pressioni negli USA per una ripresa degli esperimenti nucleari!).

Nondimeno l’Organizzazione prevista dal CTBT per la verifica, che comporta una rete mondiale di stazioni per misurazioni sismiche e di altro tipo, è già operante; e per il momento non sembra probabile che alcun paese sia disposto a prendersi la responsabilità di compiere esperimenti di esplosioni nucleari, affrontando la reazione negativa dell’intera comunità internazionale (una possibile eccezione potrebbe essere la Corea del Nord, che sembra talvolta ritenere di poter trarre vantaggio proprio da una posizione di assoluto isolamento rispetto alla comunità internazionale).Accordi bilateraliE veniamo ai veri e propri accordi di disarmo nucleare, a carattere bilaterale (USA-URSS, poi USA-Russia). Significativo è stato il Trattato sulle Armi Nucleari Intermedie (INF, Intermediate Nuclear Forces), firmato da USA e URSS l’8 dicembre 1987 ed entrato in vigore l’1 giugno 1988. Esso prevede l’eliminazione di tutti i missili a terra (di USA e URSS, e ora della Russia), con gittate da 500 a 5500 chilometri. Tali misure sono state prontamente (entro tre anni) e completamente attuate, e hanno comportato la distruzione (verificata) di tutti i missili SS-20 sovietici puntati sull’Europa Occidentale, e di tutti i missili Pershing americani stazionati in Europa nonché di tutti i missili cruise con base al suolo.

Non era invece prevista (per la difficoltà di un’adeguata verifica) l’eliminazione delle relative testate nucleari. Si noti che il Trattato INF, che è tuttora in vigore, comporta una significativa restrizione delle capacità missilistiche di USA e Russia (e paesi ex-URSS), ma dato il suo carattere bilaterale vale solo per tali paesi.Un altro accordo assai importante, anche se non ha la forma di un vero e proprio trattato, ma solo di iniziative unilaterali (ovviamente concordate), sancite da un impegno del presidente Bush senior, e di Gorbaciov prima, e Yeltsin poi, riguarda il settore delle cosiddette “armi nucleari tattiche” (5). Intervenuto nella fase di transizione dall’Unione Sovietica alla Russia, tale accordo ha dato luogo al ritiro, entro i territori rispettivamente di Stati Uniti e Russia, di tutte le armi nucleari “tattiche” basate a terra (cioè missili di ogni tipo; quelli intercontinentali, considerati “strategici”, erano già basati all’interno dei rispettivi paesi) e in mare.

Ciò ha comportato la completa denuclearizzazione delle flotte americane e russe, con la sola eccezione dei sottomarini aventi l’esclusivo compito di trasportare missili a lunga gittata con testate nucleari (SLBMs, Submarine Launched Ballistic Missiles), considerati armi nucleari “strategiche”. Vi è anche un impegno alla effettiva eliminazione di buona parte delle testate nucleari delle armi “tattiche” ritirate. Tutto ciò, peraltro, senza alcuna misura di verifica e senza che tali impegni siano tanto vincolanti quanto lo sarebbe un vero e proprio trattato internazionale.I principali trattati di controllo degli armamenti e disarmo riguardanti le armi nucleari “strategiche” sono: il cosiddetto Trattato ABM (Anti Ballistic Missile), e una serie di trattati le cui diverse sigle (SALT, START, SORT) riflettono una storia lunga e complicata.

Il Trattato ABM fu concepito per frenare il riarmo nucleare mediante un reciproco impegno delle due superpotenze nucleari, USA e URSS, a non sviluppare difese antimissilistiche del loro territorio: l’incertezza sull’efficacia di tali sistemi di difesa avrebbe incentivato lo sviluppo e lo schieramento di armi nucleari offensive, stimolando quel ciclo di azioni e reazioni, la corsa al riarmo nucleare, che già aveva portato alla produzione di arsenali spropositati. Il rifiuto da parte dell’attuale leadership statunitense della logica che aveva portato al Trattato ABM, in particolare, della rinuncia ad approntare difese del territorio americano da eventuali attacchi missilistici, ha portato al ritiro americano da questo trattato, che non è pertanto più in vigore. Fortunatamente ciò non ha causato una ripresa del riarmo nucleare, grazie alle mutate circostanze geopolitiche (fine della Guerra Fredda), e alla scarsa efficacia, per obiettive difficoltà tecnologiche, del programma di difesa antimissilistica statunitense. Che comunque è mirato alla difesa contro un arsenale nucleare modesto (sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo), quale quello che potrebbe esser acquisito da uno dei cosiddetti “Stati canaglia” (o, più correttamente, “Stati preoccupanti”).

Quanto agli accordi di limitazione e riduzione delle armi strategiche offensive, farne qui una storia dettagliata richiederebbe troppo spazio; ci limiteremo a dire che, a causa del già menzionato scetticismo della nuova leadership americana circa l’utilità di trattati formali di controllo degli armamenti, la versione corrente dell’accordo bilaterale russo-americano è molto meno formalizzata dei precedenti accordi di questo tipo: comporta comunque un impegno reciproco alla riduzione degli armamenti nucleari strategici, che è in corso e dovrebbe continuare nei prossimi anni.

Commenti conclusivi

Le buone notizie sono, in primo luogo, il cambiamento epocale consistente nella fine della Guerra Fredda; il fatto che, dopo il 9 agosto del 1945, le armi nucleari non sono più state usate in azioni di guerra; la constatazione che gli arsenali dei due principali paesi militarmente nucleari sono in via di riduzione, ancorché lenta, e la speranza, abbastanza giustificata, che esperimenti di esplosioni nucleari non vengano mai più compiuti. Le cattive notizie riguardano anzitutto il pericolo di proliferazione delle armi nucleari, con tre principali zone a rischio: il Medio Oriente esteso (con tutti i suoi conflitti, compreso quello israeliano-palestinese, il turbolento dopoguerra iracheno, i difficili rapporti fra Iran e Stati Uniti, e la presenza dell’arsenale nucleare israeliano), il Sudest asiatico (con lo sviluppo degli arsenali nucleari di India e Pakistan, due paesi in conflitto, talora cruento, circa il futuro del Kashmir), e la penisola coreana, con al nord un oppressivo regime vetero-comunista, economicamente fallimentare (perfino incapace di fdar da mangiare ai propri cittadini), ma militarmente, e per certi aspetti anche tecnologicamente, agguerrito, che sembra aver trovato nella minaccia di acquisire un autonomo armamento nucleare il solo strumento di ricatto rispetto alla comunità internazionale che gli garantisca la sopravvivenza (con il rischio di innescare un catastrofico processo di proliferazione degli armamenti nucleari nell’intera regione, che potrebbe travolgere anzitutto la Corea del Sud, ma anche il Giappone, e chissà poi quanti altri Stati in tale area e in tutto il mondo).

Altra cattiva notizia è l’evidente incapacità dei paesi più potenti, in primis gli Stati Uniti, ma anche la Russia e i paesi della NATO, a riconoscere che le presenti circostanze geostrategiche offrirebbero l’occasione per iniziare a ridurre l’importanza delle armi nucleari, che costituisce l’indispensabile premessa a una loro eliminazione operativa. Certamente ciò richiederà che si pervenga anche all’eliminazione della guerra come strumento per risolvere le controversie internazionali: obiettivo peraltro già raggiunto in alcune parti del mondo (per esempio in Europa). E a chi dimostra scetticismo rispetto alla possibilità di un tale progresso, ricordiamo che la completa eliminazione di alcune istituzioni sociali, considerate accettabili/inevitabili nel passato, dall’antropofagia alla schiavitù, alla periodica emergenza di pandemie quali il vaiolo, sono conquiste consolidate della nostra civilizzazione. Del resto il fatto stesso che strumenti bellici quali le armi nucleari, pur disponibili anche negli arsenali di paesi coinvolti in conflitti bellici in cui sono risultati sconfitti sul campo (per esempio gli USA in Vietnam, l’URSS in Afghanistan), non siano mai più stati usati dopo il 1945, è una novità nella storia umana, che sottolinea l’eccezionalità di questi ordigni di distruzione e ci fa ben sperare circa la possibilità che questa prassi, escludente ogni uso bellico di tali armi, divenga una norma fondante della nostra civilizzazione (6).

Ma, a mio parere, il più preoccupante rischio è quello che una città venga distrutta da una esplosione nucleare provocata da un piccolo commando di terroristi. Purtroppo la sola barriera tecnologica che impedisca la realizzazione di una così terribile catastrofe sta nella difficoltà di procurarsi il materiale fissile: in particolare la disponibilità di un centinaio di chilogrammi di uranio altamente arricchito è più che sufficiente alla realizzazione clandestina in loco di un siffatto ordigno. Poiché le quantità di uranio arricchito attualmente esistenti sono enormi (nella sola Russia, oltre un milione di chilogrammi), il rischio che ciò accadrà presto è, a mio parere, concreto. Quindi la comunità internazionale dovrebbe focalizzare attenzione e risorse per evitare che tale pericolo si realizzi. Cosa che viene sì fatta, ma non con la priorità e l’impegno che sarebbero necessari.

 NOTE

(1) La bomba impiegata a Hiroshima (6 agosto 1945), aveva utilizzato come materia prima uranio altamente arricchito nell’isotopo 235. La resa energetica dell’esplosione fu di circa quindici kilotons, pari cioè all’energia che si libera nell’esplosione di quindicimila tonnellate (quindici milioni di chilogrammi) di tritolo. Tale energia è prodotta dalla fissione di circa un chilogrammo di uranio. Il disegno dell’ordigno si basa sul cosiddetto “modello a culatta di cannone”: due masse di uranio arricchito, ciascuna delle quali non raggiunge da sola la massa critica (sufficiente cioè a sostenere la reazione di fissione a catena), vengono scagliate rapidamente l’una contro l’altra in un contenitore cilindrico, in modo tale da assemblare rapidamente una massa complessiva supercritica. Nel momento in cui si realizza il massimo assemblaggio una sorgente emette una scarica di neutroni, che serve da innesco per la reazione a catena, i cui tempi di sviluppo sono poi rapidissimi, tanto da portare alla fissione di circa un chilogrammo di uranio prima che l’ordigno si autodistrugga. Fra l’altro, anche se la sorgente di neutroni avente il compito di dar inizio alla reazione a catena non avesse funzionato, l’esplosione nucleare avrebbe ugualmente avuto luogo. Infatti i tempi dell’assemblaggio sono sufficientemente lunghi per garantire che un neutrone dei raggi cosmici dia comunque inizio alla reazione a catena prima che l’ordigno si disassembli per effetto dell’urto.La bomba di Nagasaki (9 agosto 1945) aveva una resa energetica analoga.

Questa volta si trattò però di un ordigno a plutonio, assai più difficile da realizzare, perché necessita di un meccanismo di implosione a simmetria sferica che provochi non solo un assemblaggio più rapido, ma anche un aumento di densità del materiale fissile (per l’appunto, il plutonio), prima dell’inizio della reazione a catena. Pertanto i costruttori ritennero necessario mettere alla prova questo tipo di bomba prima di utilizzarlo in un contesto bellico: l’esperimento venne effettuato il 16 luglio, 1945 ad Alamogordo, nel deserto del New Mexico.

(2) La resa energetica di questa bomba, di cui a quanto pare venne costruito un solo esemplare, perché era difficile immaginare alcun uso bellico per un ordigno così smisuratamente distruttivo, sarebbe stata addirittura doppia, se non si fosse evitato di circondarne il nucleo con una corteccia di uranio.

(3) Per i dati sui numeri delle armi nucleari, anno per anno, nei diversi paesi – e anche per molte altre informazioni sull’ argomento di questo articolo- si veda: F. Calogero, P. Miggiano e G. Tenaglia, Armi e Disarmo, Franco Angeli, 1997. Per gli arsenali nucleari NATO dislocati in Europa, si veda per esempio la rubrica “Armamenti” nel numero di Sapere, dicembre 2004.

(4) L’India aveva già effettuato un’esplosione nucleare nel 1974, dichiarando che era fatta a “scopi pacifici”.

(5) Dicitura impropria: ogni uso di armi nucleari avrebbe rilevanza “strategica”, e quindi l’autorizzazione di qualsiasi uso di tali armi è riservata alla massima autorità del potere esecutivo).

(6) Come del resto già indicato dal parere dell’8 luglio del 1966 della Corte Internazionale di Giustizia: “la minaccia o l’ uso di armi nucleari sarebbero generalmente in contrasto con le regole della legge internazionale relativa ai conflitti armati. Sussiste un obbligo di perseguire in buona fede negoziati, e portarli a conclusione, che conducano al disarmo nucleare in tutti i suoi aspetti, sotto stretto ed efficace controllo internazionale”.

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