Dove finisce la A-beta

Negli ultimi anni i ricercatori si sono gradualmente avvicinati alla soluzione del mistero del morbo di Alzheimer. Ora, grazie alla scoperta pubblicata dal nostro gruppo di ricerca sul numero di giugno di “Nature Medicine”, al puzzle si aggiunge un altro tassello. In questi ultimi tempi un numero sempre più alto di ricercatori si è trovato d’accordo nel ritenere che un passo fondamentale nello sviluppo del morbo di Alzheimer sia l’accumulazione di un peptide (una piccola proteina) chiamato A-beta. Questa molecola si deposita nel cervello e porta alle tragiche conseguenze della malattia, che gradualmente priva i malati della loro memoria, della loro personalità, e infine della capacità generale dell’organismo di funzionare. L’A-beta deriva da una “proteina genitore” chiamata amiloide-precursore, che è presente normalmente praticamente in tutte le cellule umane. All’Harvard Medical School il nostro team ha scoperto il compartimento principale delle cellule cerebrali in cui l’A-beta, il peptide colpevole, si deposita dopo la separazione dal suo precursore.

Una porzione considerevole delle cellule è costituita da membrane. Queste strutture particolarmente ricche di lipidi non solo delimitano ogni cellula, ma costituiscono anche una fitta e complessa rete tra cellule lungo la quale molte proteine trovano la strada dal loro luogo di produzione alla loro destinazione finale. Partendo dalle zone più interne di una cellula, dove si trovano il nucleo e il Dna, e spostandosi verso le parti esterne, le membrane cellulari divengono sempre più ricche di colesterolo. La nostra scoperta è che l’A-beta si associa alle membrane cellulari particolarmente ricche di colesterolo. Tra gli addetti ai lavori queste membrane vengono indicate come membrane arricchite di glicolipidi insolubili nei detergenti (detergent-insoluble glycolipid enriched membrane domains). Spesso sono i luoghi dove i messaggi e le istruzioni sul mondo esterno entrano nella cellula e la istruiscono su come modificare l’attività di vari enzimi. L’A-beta potrebbe così risultare un messaggero di informazioni sbagliate che spingerebbe la cellula nella direzione dell’auto-distruzione. All’interno di questi compartimenti l’A-beta potrebbe assumere una forma che risulta “appiccicosa” verso l’esterno e quindi accumularsi sempre più in quei depositi del cervello chiamati placche senili.

Inoltre, la scoperta dell’A-beta in un compartimento ricco di colesterolo è un ulteriore indizio della connessione tra il morbo di Alzheimer e i ben noti danni provocati dal colesterolo alle arterie, al cervello e altri organi. Una delle prime prove di questo collegamento è stata la scoperta che l’ApoE4, un gene associato ad alti livelli di colesterolo, è anche un fattore di rischio per la malattia di Alzheimer. Ora i scienziati sono pronti per esplorare nuovi modi in cui l’ApoE4 può aumentare questo rischio. La strada per la ricerca non passa per le soluzioni acquose, che costituiscono la maggior parte dell’interno delle cellule, ma per le membrane dove le proteine potrebbero assumere proprietà sconosciute. Lungo la superficie di una bolla di sapone, che assomiglia a una membrana cellulare, le proteine potrebbero ripiegarsi in modo differente da quanto fanno nelle soluzioni acquose usate di solito nei laboratori per studiare le proteine; e in questa “terra” relativamente sconosciuta potrebbe trovarsi l’ultimo passo per la sconfitta dell’Alzheimer.

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