Droidi nel pallone

    Solo pochi anni fa, l’idea di una macchina calcolatrice capace di sfidare l’uomo (e batterlo) nel gioco degli scacchi, poteva essere considerata un’utopia. Poi, nel 1997, è arrivato Deep Blue, il supercomputer della Ibm che si è “permesso” di battere nientemeno che il maestro dei maestri Garry Kasparov. Ora che il predominio del calcolatore negli scacchi è quasi routine, la nuova frontiera potrebbe spostarsi su altri terreni, per esempio quello sportivo. Perché non immaginare un robot calciatore in grado, fra cinquanta anni, di scendere sul manto erboso per confrontarsi ad armi pari con i nipotini di Totti e di Ronaldo? E’ l’idea, nata qualche anno fa nei laboratori di sviluppo della Sony, dalla quale ha preso forma RoboCup, un progetto scientifico e tecnologico che vede impegnate decine di università e centri di ricerca in tutto il mondo. Esiste anche una vera e propria federazione sportiva (http://www.robocup.org) che ha già organizzato più di un campionato mondiale di accese sfide calcistiche tra squadre di robottini. Prossimi appuntamenti: Amsterdam dal 28 maggio al 2 giugno 2000 per gli europei e Melbourne dal 28 agosto al 2 settembre, sempre dell’anno prossimo, per i mondiali.

    L’Italia partecipa con il progetto Azzurra robot team (Art – http://www.dis.uniroma1.it/~ART) al quale lavorano ricercatori di sei università italiane (Genova, Padova, Palermo, Parma, La Sapienza di Roma e il Politecnico di Milano) con il contributo del Cnr, del Consorzio Padova ricerche e di alcuni sponsor. L’estate scorsa, a Stoccolma, gli azzurri hanno conquistato la finale, anche se hanno dovuto cedere il passo ai sorprendenti iraniani (finiti in prima pagina quando hanno eliminato la rappresentativa degli Stati Uniti). “La finalità del progetto è duplice”, spiega il coordinatore di Art Daniele Nardi, professore associato di informatica all’Università la Sapienza di Roma, quasi il commissario tecnico della nazionale robot. “Oltre agli scopi scientifici, ci sono le opportunità didattiche. Quest’anno, insieme a una decina di docenti, hanno lavorato al progetto una trentina di studenti che hanno potuto approfondire le loro conoscenze di robotica mobile e maturare un’esperienza in un ambiente di ricerca internazionale molto competitivo”.

    Secondo il regolamento attuale le squadre dei robot calciatori sono formate da tre giocatori più il portiere, che si confrontano su un campo verde (ma l’erba non c’è ancora, troppo irregolare come superficie) di circa 9 per 4,5 metri. La squadra italiana, per la verità, è una multinazionale, a giudicare dai nomi dei giocatori. In porta c’è TinoZoff, ma la “rosa” della squadra azzurra comprende RonalTino, Relè, Rullit, TotTino, oltre a Homer e Bart che rivelano la passione di qualcuno per i cartoni animati dei Simpson.

    Un risultato del quale gli azzurri vanno particolarmente orgogliosi è di essere riusciti a dare ai calciatori delle capacità di coordinamento: “Non abbiamo ancora pubblicato un lavoro scientifico sull’argomento, ma è stata la caratteristica più apprezzata della nostra prestazione a Stoccolma: i nostri robot si scambiano informazioni sul campo, sulle situazioni di gioco e sulle intenzioni di ciascun giocatore attraverso una rete che sfrutta frequenze radio leggermente più alte di quelle dei telefonini. Questo evita le ammucchiate sul campo. Infatti all’inizio i robot giocavano un po’ come dei ragazzini: tutti a inseguire il pallone”. Non si tratta solo di un dato meramente tecnico. E’ un risultato significativo, sottolinea Nardi, perché significa che gli studiosi italiani (ogni gruppo ha lavorato allo sviluppo di uno o più “calciatori”, ma anche di singole componenti hardware e software da mettere a disposizione del team) sono stati capaci di lavorare insieme, di coordinare le loro ricerche. Prima dei robot, sono quindi i progettisti ad aver fatto un buon gioco di squadra. Al punto che la “scuola di progettazione” italiana dei robot calciatori (una settimana di incontri per ricercatori e studenti che quest’anno si è tenuta a Roma, l’anno prossimo sarà a Padova a fine febbraio) ora ricve anche richieste di partecipazione da università straniere.

    Il cruccio dei ricercatori italiani è però quello dei finanziamenti. In altri campi, in particolare nella medicina, fondazioni, associazioni no profit e industrie private sovvenzionano una parte sostanziale dei progetti di ricerca. Per Art gli sponsor per ora scarseggiano, benché si tratti di un progetto assai avanzato, le cui ricadute, tecnologiche e – perché no – d’immagine, potrebbero essere interessanti per le imprese italiane. Gli interessati possono farsi avanti, certi del fatto che i costi di quest’impresa sono sotto controllo: i campioni della Robocup – almeno per ora – non sono programmati per chiedere premi partita o aumenti d’ingaggio a metà campionato.

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