Duchenne: l’unione fa la forza

Come ogni anno Parent Project Onlus, l’associazione di genitori di bambini e ragazzi affetti da distrofia muscolare di Duchenne e Becker, ha saputo riunire ricercatori, clinici, aziende farmaceutiche, rappresentanti delle agenzie regolatorie e pazienti provenienti da tutto il mondo, per un incontro di aggiornamento, approfondimento e confronto sulla patologia. Le discussioni affrontate e i risultati riportati in conferenza hanno dimostrato come una fitta rete di collaborazioni sia in grado di accelerare la ricerca scientifica e clinica.

La distrofia muscolare di Duchenne (Dmd) è una malattia genetica rara, la più grave tra le distrofie muscolari, causata dall’assenza di una proteina muscolare, la distrofina, che comporta un progressivo indebolimento muscolare dalla prima infanzia che conduce alla completa immobilità. La Dmd colpisce in modo specifico il tessuto muscolare scheletrico, compresi i muscoli respiratori e cardiaci. La patologia riguarda solo i maschi, con un’incidenza abbastanza elevata di 1 su 3.300, e l’aspettativa di vita, seppur raddoppiata negli ultimi anni, non supera in media i 25-30 anni.

Dalle terapie innovative alla sperimentazione clinica

La conferenza si è aperta con una sessione dedicata alla ricerca di base e con un focus sulla tecnologia dell’editing genomico, grande novità nel campo dell’ingegneria genetica e grande promessa per future terapie applicate a diverse malattie. La tecnica dell’editing genomico basato sul sistema Crispr sta dando una serie di risultati promettenti anche nel campo della Duchenne. La ricercatrice americana Rhonda Bassel-Duby, del Southern Medical Center della Texas University di Dallas, ha presentato il suo studio pubblicato a dicembre su Science. La ricerca condotta è ancora in fase preclinica, gli esperimenti sono stati effettuati su topi modello per la Dmd, ma i dati sono entusiasmanti e rappresentano la prova preliminare per l’utilizzo di Crispr come possibile terapia per la distrofia muscolare di Duchenne. “Ora la scommessa più grande è riuscire a passare dalla ricerca sui topi all’applicazione sull’uomo”, ha dichiarato Rhonda Bassel-Duby, ”la strada è ancora lunga, la tecnica deve essere ulteriormente valutata e ottimizzata, ma le premesse sono molto buone”.

L’attenzione si è poi spostata sugli aggiornamenti dei trial clinici in corso a livello internazionale. Negli ultimi dieci anni c’è stata una crescita esponenziale della ricerca traslazionale nella Duchenne, la fase in cui i risultati della ricerca di base vengono utilizzati e trasferiti nell’ambito della sperimentazione clinica. “Stiamo vivendo un momento importante”, ha dichiarato Filippo Buccella, presidente di Parent Project Onlus, ”dopo anni di attese, abbiamo finalmente non solo la disponibilità di un primo farmaco in grado di contrastare la progressione della patologia, ma anche di un nutrito numero di approcci sperimentali che speriamo possano diventare rapidamente disponibili per tutti i pazienti”. Ormai sono una cinquantina i progetti di ricerca focalizzati su nuovi approcci terapeutici per la Dmd che, nel mondo, sono passati dagli studi preclinici alle sperimentazioni cliniche, e circa un terzo di queste sperimentazioni sono state avviate anche in Italia. Nel campo della distrofia di Duchenne si sfata il luogo comune che vede l’Italia come fanalino di coda della ricerca scientifica internazionale. Non solo l’Italia è in prima linea per quel che riguarda i trial clinici più promettenti in corso, ma è anche il paese nel quale sono stati ideati alcuni studi di base e approcci terapeutici che sono all’avanguardia nel campo della ricerca sulla Duchenne a livello mondiale.

A questo riguardo Giulio Cossu, che lavora da diversi anni sul fronte della terapia cellulare per la Dmd, ha presentato i risultati del trial clinico avviato nel 2011, concluso nel 2013, e i cui dati sono stati pubblicati lo scorso dicembre. Si tratta del primo tentativo al mondo di trapianto eterologo di cellule staminali su pazienti Dmd, le staminali sono prelevate da un donatore sano immunocompatibile e iniettate nel paziente. La ricerca è basata sull’utilizzo dei mesoangioblasti, particolari cellule staminali normalmente associate ai vasi sanguigni e capaci di rigenerare il tessuto muscolare danneggiato e ripristinare la sua funzionalità. Lo studio clinico di fase 1/2 è stato condotto su 5 pazienti Dmd e ha dato buoni risultati di sicurezza, ma i dati sull’efficacia si sono rivelati meno soddisfacenti. Il team di Giulio Cossu è adesso impegnato nel riesaminare e ripensare alcuni punti fondamentali del protocollo di sperimentazione, per poi poter ridisegnare e avviare un nuovo trial che dimostri l’efficacia della terapia.

Un’altra scommessa tutta italiana è rappresentata da givinostat, un inibitore delle istone deacetilasi (HDAC), che permette al tessuto muscolare di rispondere al danno provocato dalla Duchenne con un meccanismo rigenerativo in grado di ridurre il processo d’infiammazione e di fibrosi tipico della patologia. Givinostat è una molecola sviluppata dall’azienda farmaceutica Italfarmaco e trae spunto da anni di ricerca di base condotta dal team di Pier Lorenzo Puri. Alla conferenza, sono stati illustrati i dati della sperimentazione clinica di fase 2 su 20 bambini con la Dmd. Il trattamento con givinostat aumenta significativamente la quantità di fibre muscolari presenti e diminuisce la necrosi e fibrosi del tessuto muscolare. Sulla base di questi risultati positivi, Italfarmaco sta progettando un nuovo studio clinico di fase 3, che partirà nella seconda metà del 2016, da condurre a sostegno di una domanda di registrazione del farmaco in Europa e negli Stati Uniti.

La prima vera vittoria che arriva dai trial clinici sulla Duchenne prende il nome di ataluren, il primo farmaco per la Dmd inserito nell’elenco dei farmaci erogabili a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale ai sensi della Legge 648/96. Si tratta di una piccola molecola, sviluppata dalla società biofarmaceutica PTC Therapeutics, che interviene sui meccanismi molecolari coinvolti nella lettura dei geni e nella loro traduzione in proteine. Tra i diversi tipi di mutazioni che possono colpire il gene della distrofina, e quindi causare la Dmd, vi è la mutazione “nonsenso” che comporta l’introduzione di un segnale di stop in una zona interna del gene. Questa mutazione causa l’interruzione anticipata della lettura del gene con la conseguente produzione di una forma più corta, non funzionale, della distrofina. Translarna agisce direttamente sul danno genetico, mascherando questa mutazione e permettendo quindi la formazione della proteina funzionale. Nel 2014 Translarna ha ottenuto l’autorizzazione condizionale all’immissione in commercio dall’EMA (Agenzia Europea del Farmaco) per l’uso nei pazienti Dmd deambulanti dai cinque anni in su con mutazione nonsenso. I dati presentati alla conferenza sullo studio clinico di fase 3 di conferma hanno convalidato la sicurezza ed efficacia del trattamento evidenziati negli studi precedenti.

Un altro importante filone di studi clinici per la Duchenne si basa sull’approccio chiamato exon skipping, (tradotto letteralmente come “salto dell’esone”) una strategia terapeutica che sfrutta molecole antisenso per correggere alcune delle mutazioni genetiche responsabili della Dmd. Quando una mutazione cambia lo schema di lettura del gene della distrofina non vi è più la produzione della proteina funzionale, il corretto schema di lettura può essere ristabilito eliminando direttamente una o più esoni (parti codificanti del gene). Alla fine di questa “operazione molecolare”, la distrofina prodotta sarà più corta del normale ma potrà ancora svolgere la sua funzione muscolare. Partendo dalla stessa osservazione, ma utilizzando molecole differenti, le due aziende biofarmaceutiche statunitensi BioMarin e Sarepta Therapeutics hanno sviluppato negli anni una serie di molecole antisenso specifiche per diverse mutazioni. Tra queste, drisapersen ed eteplirsen, rispettivamente prodotte da BioMarin e Sareta Therapeutics, sono mirate allo skipping dell’esone 51 e si trovano nella fase di sperimentazione clinica più avanzata (fase 3). Entrambe le aziende biofarmaceutiche hanno presentato in conferenza gli ultimi aggiornamenti riguardo alla valutazione da parte dell’FDA (Food&Drug Administration) e dell’EMA ai fini dell’autorizzazione alla commercializzazione del farmaco. Per drisapersen l’iter di valutazione è ancora in corso in Europa, mentre si è concluso negativamente negli Stati Uniti poiché l’FDA ha ritenuto che, nella forma attuale, la richiesta presentata non è ancora pronta per una approvazione. Per eteplirsen invece il dialogo è, al momento, avviato esclusivamente con le autorità regolatorie statunitensi che stanno ancora esaminando l’insieme delle informazioni presentate. Una novità nel panorama degli studi clinici è che per questo approccio terapeutico verranno inclusi nei futuri trial bambini piccoli e ragazzi non deambulanti.

Altra molecola non ancora approvata, ma in possesso dei requisiti di efficacia e di sicurezza necessari ai fini di una possibile autorizzazione, è l’idebenone. Si tratta di una piccola molecola, prodotta dall’azienda farmaceutica svizzera Santhera Pharmaceuticals, che agisce aiutando il processo di produzione di energia all’interno della cellula. I risultati di un ampio studio clinico di fase 3 a livello internazionale hanno dimostrato i benefici del farmaco in termini di rallentamento della perdita di funzionalità respiratoria in pazienti Dmd. Un dato importante vista la compromissione delle abilità respiratorie autonome con il progredire della patologia. Santhera ha avviato un dialogo con le autorità regolatorie per procedere al più presto con l’iter di approvazione del farmaco per la Duchenne.

Sul fronte dei trial clinici in fase meno avanzata, ma comunque promettenti, sono stati presentati i dati di una serie di farmaci sperimentali di nuova generazione. Ad esempio, VBP 15 e CAT 1004 sono farmaci che puntano a un’elevata potenza anti-infiammatoria riducendo al minimo gli effetti indesiderati. VBP 15 e CAT 1004 sono sviluppati rispettivamente dalle aziende statunitensi ReveraGen e Catabasis, e sono attualmente in fase sperimentale 1 e 2. Mirano invece ad aumentare la massa muscolare le molecole sviluppate da Pfizer e Bristol Myers Squibb, rispettivamente PF 06252616 in trial clinico di fase 2 e BMS-986089 in fase 1/2. Entrambe le molecole legano selettivamente la miostatina, una proteina prodotta dalle cellule muscolari che ne blocca la crescita e il differenziamento. L’idea alla base di quest’ultimo approccio è di promuovere una funzionalità muscolare migliore dotando il muscolo di più massa.

Dalla diagnosi alla presa in carico del paziente

Ma alla conferenza non si è parlato solo di ricerca e possibili future terapie, una serie di tavole rotonde hanno permesso di approfondire alcuni aspetti chiave relativi alla presa in carico complessiva del paziente con Dmd/Bmd. Il messaggio forte e chiaro che ha voluto lanciare Parent Project Onlus è che bisogna uscire dal concetto di trattamento come pillola. La presa in carico fa parte del trattamento, deve essere iniziata il prima possibile ed essere portata avanti in maniera costante e con un approccio multidisciplinare adeguato. “È vero che l’aspettativa di vita di un ragazzo con la Duchenne si è notevolmente allungata in questi ultimi anni”, ha dichiarato Filippo Buccella Presidente di Parent Project Onlus, “ma di Duchenne si continua a morire a 15 anni se non si segue il corretto percorso multidisciplinare indicato dalle linee guida”.

L’attenzione è stata inizialmente focalizzata sull’importanza di una diagnosi precoce, che permetta una presa in carico immediata del bambino. Nonostante tutti i progressi fatti, la diagnosi di distrofia muscolare di Duchenne e Becker arriva ancora troppo tardi, la maggior parte dei bambini hanno una diagnosi definitiva tra i 4 e i 6 anni. L’uso di cortisone è al momento l’unica terapia universalmente utilizzata per la Duchenne, agisce prevalentemente intervenendo sui processi antiinfiammatori, anche se non si tratta di una terapia che arresta la malattia piuttosto di un trattamento palliativo che rallenta in maniera provvisoria la degenerazione muscolare. Se si pensa che la somministrazione di steroidi è ormai iniziata verso i 5 anni e che prima ancora andrebbe avviato il percorso riabilitativo, è chiaro che una diagnosi a 4-6 anni rappresenta un estremo ritardo. I bambini con la Duchenne hanno già da piccolissimi un ritardo motorio e spesso un ritardo cognitivo, iniziare precocemente un percorso di riabilitazione dedicato alle problematiche psicomotorie è cruciale per affrontare al meglio la malattia. Una diagnosi precoce è fondamentale anche per una programmazione familiare, la madre di un bambino con la Dmd ha il 70% di possibilità di essere portatrice sana della malattia (eventualità facilmente verificabile con una diagnosi genetica focalizzata) e di poter quindi generare altri figli con la Duchenne.

A questo discorso si ricollega la necessità di elaborare e pianificare un programma di screening neonatale supportato dal Servizio Sanitario Nazionale, programma che già esiste o è in fase di discussione a livello istituzionale per altre malattie rare. Ci sono alcuni studi in corso per valutare come potrebbe essere condotto lo screening in maniera tale da renderlo accessibile a tutti, efficace, veloce ed economico. Tra l’altro, i dati estrapolati da un eventuale screening neonatale sarebbero preziosi e andrebbero a colmare la grande lacuna che si ha ancora oggi in Italia: non esistono dati ufficiali sul numero delle persone affette dalla distrofia muscolare di Duchenne e Becker. Lo screening neonatale è un tema fondamentale sul quale Parent Project Onlus punta l’attenzione da alcuni anni e per il quale sono maturi i tempi per avviare un dialogo con le istituzioni.

La centralità del paziente nella ricerca clinica

Un altro importante aspetto sul quale la comunità Duchenne internazionale si sta confrontando è la necessità di includere nelle sperimentazioni cliniche i pazienti che sono, al momento, esclusi da quasi tutti i trial, ovvero i bambini di età inferiore ai 5 anni e i ragazzi non deambulanti. Uno dei primi limiti a questo cambiamento è la mancanza di scale di valutazione adeguate e validate per poter valutare le terapie su queste popolazioni di pazienti. Per determinare la sicurezza e l’efficacia di un farmaco, infatti, i risultati della ricerca clinica devono riflettere le “misure di esito”, indicate anche come “endpoint” o “outcome measures”, misure che sono riconosciute a livello internazionale. A questo riguardo sono stati avviati una serie di studi per identificare e definire scale di valutazione sulla capacità motoria dei bambini in età prescolare, e sulla capacità di movimento delle spalle, braccia, polso e dita nei ragazzi che hanno perso la capacità di camminare.

Definire le outcome measures giuste in uno studio clinico è fondamentale, da questo può dipendere l’andamento del trial. Purtroppo nell’ultimo anno oltre ai successi si sono cominciati a vedere anche una serie di fallimenti dei trial in corso sulla Duchenne. Si sta delineando l’importanza di progettare gli studi clinici in modo tale da essere il più rilevanti possibile per gli stessi malati e, quindi, più efficaci nel generare prove che possano dimostrare che la terapia sia in grado di migliorare la qualità delle loro vite. Dal confronto dei clinici e dell’industria farmaceutica con i pazienti è emerso un concetto molto chiaro: a valutare le priorità terapeutiche devono essere i pazienti, che devono essere parte attiva delle decisioni politiche e regolatorie in ambito di farmaci e terapie. Si è così aperto il tema della centralità del paziente nella ricerca clinica. In questa fase una stretta collaborazione tra clinici e associazioni di pazienti sarà preziosa per permettere di mettere in luce le priorità e i bisogni specifici di chi convive quotidianamente con la patologia nella sua evoluzione. Il passo successivo sarà quello di avviare un dialogo con le agenzie regolatorie per ridisegnare i trial secondo questa nuova concezione.

Le parole chiave di questo lungo incontro di due giorni sono state sinergia e cambiamento. Durante la conferenza sono stati messi in evidenza una serie di risultati che sono il frutto di un enorme lavoro portato avanti dalla comunità Duchenne. Negli anni si è creata una fitta rete di collaborazioni, sia a livello nazionale sia internazionale, tra ricercatori, clinici, specialisti, aziende farmaceutiche, istituzioni e associazioni di pazienti, che agisce da catalizzatore per accelerare la ricerca scientifica e clinica. In questo panorama, Parent Project onlus è riuscito a rendere i malati e le loro famiglie parte attiva di questo complesso, delicato ma efficiente catalizzatore e a fare della Duchenne un modello di eccellenza da esportare nell’ambito delle malattie rare.

Francesca Ceradini (Comunicazione scientifica Parent Project onlus)

Credits immagine:Bill Dickinson/Flickr CC

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here