Che le dispute tra maschi possano finire a testate non è una novità: mufloni e cervi, e a volte anche gli umani, risolvono così le rivalità in amore. Era ignoto invece che questo comportamento fosse in uso anche tra i pesci della barriera corallina. Lo ignoravano anche i biologi marini del National Marine Fisheries Service di Beaufrot (Carolina del Nord) impegnati a osservare il comportamento sessuale dei giganteschi pesci pappagallo (Bolbometopon muricatum) che popolano i fondali dell’atollo di Wake nell’Oceano Pacifico.
La prima volta che, nel corso di un’immersione, vennero sorpresi dal forte rumore di uno schianto, a tutto pensarono tranne che a ciò che i loro occhi avrebbero visto, e le telecamere filmato, undici giorni più tardi: un pesce di sesso maschile tentava sfacciatamente di invadere il raggio d’azione di un altro maschio in vena di conquiste. Finendo per essere preso violentemente a testate.
Il messaggio, consegnato da un bestione di 75 chilogrammi e un metro e mezza di lunghezza al suo simile, è chiarissimo: gioca a fare il seduttore da un’altra parte. Quando in ballo c’è il principale obiettivo di ogni maschio, ossia assicurarsi una partner con cui riprodursi, tutti i mezzi sono leciti.
Gli scienziati che hanno assistito stupiti al singolare duello possono spiegarsi adesso la presenza di quel corno osseo sulla fronte dei pesci. E, dalle pagine di PLoS ONE, affermano senza alcun dubbio che non si tratta di uno strumento con cui demolire la barriera corallina per cercarvi del cibo, come creduto finora, ma una vera e propria arma per dissuadere concorrenti troppo invadenti.
Ora tutto torna. Difficile infatti credere che i molossi del Pacifico, capaci di divorare cinque tonnellate di barriera in un anno, non fossero mai stati visti farsi strada a cornate tra i coralli. Più semplice invece spiegarsi come mai le sonore capocciate siano sfuggite ai ricercatori fino a oggi: “E’ risaputo che i pesci pappagallo sono particolarmente diffidenti, ma in una zona in cui non c’è attività di pesca e la popolazione cresce con una densità naturale noi abbiamo potuto assistere a questo comportamento che altrimenti non si riuscirebbe a vedere”, commenta Roldan Muñoz, uno dei biologi autori della scoperta.
Riferimenti: PLoS One doi:10.1371/journal.pone.0038120
Credit immagine a DrTH80 / Flickr
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