Una delle poche sorprese di questo vertice Fao è arrivata ieri, con la decisa presa di posizione in favore delle biotecnologie del ministro degli esteri cubano Peréz Roque. Il rappresentante di Castro ha dichiarato, secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, che il problema della malnutrizione non potrà essere superato sino a quando i Paesi poveri non avranno a disposizione “sementi migliorate geneticamente”. Una sorpresa questa dichiarazione, che sostiene la linea pro-ogm per cui gli Stati Uniti si sono strenuamente battuti al summit proprio nel giorno in cui Fidel Castro da Cuba invita la popolazione dell’Avana a scendere in piazza per rispondere alle “minaccie e insulti ” pronunciati da George Bush contro il governo dell’isola. E soprattutto perché Cuba è stata, negli ultimi dieci anni, la sede del più grande esperimento di agricoltura biologica della storia. Un esperimento che non può dirsi fallito.Dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1989, al Paese venne a mancare il principale alleato economico. E le conseguenze non si fecero attendere: Negli ultimi mesi di quell’anno il Paese perse l’85% dei suoi traffici commerciali. Ben presto, le importazioni di fertilizzanti e pesticidi si ridussero dell’80% e i rifornimenti di petrolio si dimezzarono. Per l’agricoltura fu una catastrofe. Il governo rispose giocando il tutto per tutto: abbandono della coltivazione intensiva e meccanizzata di canna da zucchero, su cui si basava la sua economia, e conversione totale all’agricoltura biologica. Nel 1993 molte delle aziende statali vennero quindi frammentate in unità base di produzione cooperativa e vendute agli agricoltori attraverso mutui a lungo termine. La terra in vari casi rimase di proprietà dello stato, ma sarebbe stata lavorata in maniera autonoma dagli agricoltori, proprietari del raccolto. Per rimpiazzare i trattori a secco di carburante furono riesumati i vecchi aratri e richiamati in servizio e riaddestrai al traino i buoi (100.000 soltanto nel 1991). E per risparmiare sui trasporti e la refrigerazione, si trasferisce la produzione vicino ai luoghi di consumo: le città. Nel 1998 a L’Avana c’erano circa 26 mila orti che hanno prodotto 541.000 tonnellate di verdura. La coltivazione di vegetali è interamente biologica, perché per ragioni sanitarie nel perimetro urbano è proibito l’uso di qualunque fertilizzante chimico o pesticida. Si sperimentano anchenuovi inoculi di batteri per fissare l’azoto e un programma di lotta biologica basato su insetti parassitoidi. La rotazione delle colture è il metodo più usato per tenere sotto controllo le piante infestanti. A Cienfuegos, città riconosciuta come la capitale dell’ agricoltura urbana, la produzione di vegetali è passata da 261 tonnelate nel 1994 a 14.868 nel 1999, con un aumento di produttività da 5.43 chili per metro quadrato a 26.5 chili per metro quadrato. Fuori dalle città, i risultati sembrano però essere meno confortanti, e da qualche tempo ci si chiede cosa succederebbe se Cuba tornasse a essere meno isolata, se il petrolio diventasse di nuovo disponibile a poco prezzo o se le sanzioni economiche venissero allentate. C’è chi sostiene che la naturale tendenza sarebbe quella di tornare ad un’agricoltura meno pulita. L’apertura di ieri al vertice Fao sembra preludere a questo. Dopo aver fatto di Cuba la roccaforte dell’agricoltura biologica, seppure per necessità, il governo di Castro ha aperto l’isola agli ogm. Resta da vedere se sia possibile un modello misto biologico-biotecnologico, da una parte i buoi e gli aratri, dall’altra le tecnologie dell’Occidente.