Ebola, le cure più promettenti

    L’ebola, seppure in totale sicurezza, è sbarcata negli Usa, col caso del medico statunitense che ha contratto la malattia durante le operazioni di assistenza in Africa alla peggiore epidemia del virus che la storia ricordi. E mentre si aspetta l’arrivo anche dell’altro caso di contagio americano, Nancy Writebol, le condizioni di Kent Brantly presso l’Emory University Hospital di Atlanta migliorano. Ma si tratta appunti di casi, perché, come abbiamo più volte detto, una cura per l’ebola ancora non c’è. Anche se qualcosa in questa direzione si sta muovendo.

    Contro il virus, che ha un elevatissimo tasso di mortalità, le uniche armi efficaci davvero sono quelle della prevenzione. A queste si sommano-  e in alcuni, pochissimi, casi sono sufficienti – le terapie di supporto contro la febbre emorragica, quali gli interventi di reidratazione e la somministrazione di paracetamolo. Ma forse, e questa è la speranza dei ricercatori, nei prossimi anni arriveranno anche dei farmaci, e magari un vaccino, per difendere le popolazioni dalla piaga dell’ebola.

    Studi sui modelli animali infatti ce ne sono, ma il vero scoglio restano i trial clinici, difficili da mettere in piede sul campo, a causa delle epidemie sporadiche di ebola, come spiega al Newscientist Thomas Geisbert della University of Texas Medical Branch at Galveston, che si occupa, tra l’altro, proprio di ebola. Una questione logistica sì, ma anche burocratica, come scrive Nature, raccontando delle difficoltà incontrate dalle ricerche sui trattamenti e i vaccini (alcuni di provata efficacia sui macachi, per esempio) di essere finanziati, e quindi proseguire il loro percorso sperimentale. Colpa, in parte, del fatto che – almeno finora – l’ebola, a differenza dell’Hiv o della malaria non è mai stata avvertita come un problema di salute globale.

    Eppure, come dicevamo, qualcosa sul fronte della ricerca c’è. Tra i trattamenti farmacologici diversi dai vaccini due sembrano tra quelli più promettenti. Si tratta di TKM-Ebola e BCX4430. Il primo è un farmaco basato sulla tecnologica dell’rna interference per bloccare la replicazione del virus dell’ebola, e dopo i risultati positivi ottenuti nelle scimmie (che riesce a proteggere se dato entro trenta minuti dal contagio virale) si parla di uno studio clinico di fase I, al momento però sospeso dopo le richieste della Fda di nuove informazioni sui meccanismi di funzionamento del trattamento. Il secondo farmaco invece, BCX4430 è un inibitore della rna polimerasi, un enzima fondamentale per la sopravvivenza del virus, ma si trova in una fase di studio preclinico, ancora più indietro.

    E poi c’è la speranza di un vaccino. Il più promettente è quello basato sul virus della stomatite vescicolare (Vsv), dove una delle proteine sulla sua superficie è stata modificata per somigliare a una del virus ebola, e istruire così il sistema immunitario a produrre anticorpi funzionali una volta che si presenti il patogeno vero. Il vaccino che si è mostrato efficace nei macachi, e sembra funzionare non solo come arma protettiva ma anche terapeutica: nel 2009 venne somministrato a una tecnica di laboratorio dopo che questa si era punta accidentalmente le dita con un ago contenente il virus. La tecnica sopravvisse, anche se non è chiaro se venne davvero infettata dal virus. Ora la ricerca sul vaccino è ferma, in cerca di finanziamenti per procedere con gli studi clinici, ha raccontato Geisbert a Scientific American. Ma Vsv non è il solo vaccino in fase di studio: ne esistono almeno tre efficaci nel proteggere i primati non umani dal virus dell’ebola, ma ancora lontani dal ricevere le necessarie autorizzazioni per gli studi sull’essere umano. La speranza, conclude Geisbert, è che qualcosa sia pronto per affrontare almeno la prossima eventuale (e scongiurabile) epidemia di ebola.

    Via: Wired.it

    Credits immagine: EU Humanitarian Aid and Civil Protection/Flickr

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