Ebola sconfina in Uganda: “L’epidemia non si arresta”

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(Credits: World Bank / Vincent Tremeau via Flickr CC)

Per la prima volta la seconda più grave epidemia di ebola della storia ha superato il confine della Repubblica Democratica del Congo (Drc), entrando in Uganda. I primi tre pazienti ugandesi appartengono a una famiglia residente nel piccolo centro di Bwera, nei pressi del confine. Due di loro sono già morti, e vanno quindi ad aggiungersi alle oltre 1.440 vittime registrate dall’inizio dell’epidemia. Ma per quanto la situazione in Uganda abbia allertato Oms e autorità locali, il vero problema resta in Nord Kivu, la regione della Drc al confine con l’Uganda dove l’epidemia cominciata nell’agosto 2018 non si arresta, anzi. “Negli ultimi mesi c’è stata una propagazione molto più rapida”, racconta Francesco Segoni, responsabile comunicazione per ebola di Medici Senza Frontiere (Msf). “Molte persone sono state contagiate da malati che non conosciamo: ebola continua a essere fuori controllo“. E le misure annunciate dall’Oms un mese fa per lanciare un nuovo piano di vaccinazione più capillare per ora restano sulla carta.

I casi di ebola in Uganda

Come riportato dall’Oms, i primi pazienti ugandesi si erano recati a Mbalako nel vicino Nord Kivu, superando il confine tra i due stati per partecipare al funerale del nonno, morto di ebola. Stavano tornando a casa quando tra loro un bambino di cinque anni ha cominciato a mostrare i sintomi della malattia ed è stato ricoverato nella locale Unità di trattamento antiebola l’11 giugno. Gli sforzi dei medici non sono bastati e la notte successiva il bimbo è morto. Stessa sorte toccata alla nonna, morta il giorno seguente. Anche il fratello maggiore ha contratto il virus, ma è ancora in cura assieme ad altri due familiari che mostravano sintomi di ebola. Nei mesi precedenti, il governo ugandese per fare barriera aveva già vaccinato 4.700 sanitari e messo a punto 165 unità speciali per la lotta alla malattia. Tuttavia, secondo quanto raccontato dall’Associated Press il personale medico lamenta la mancanza di un adeguato supporto: mancano i veicoli, mancano persino i guanti.

Ebola accelera in Drc

Il rischio di diffusione in Uganda comunque è ancora considerato basso dall’Oms, a differenza della situazione nella Repubblica Democratica del Congo, definita attualmente critica. Oltre il confine, infatti, la conta dei morti non fa che salire. “I casi ugandesi – spiega Segoni – sono gli unici per ora e speriamo che la situazione resti questa. Era una famiglia che tornava dal Congo, sappiamo come si sono infettati. A differenza di quante avviene in Nord Kivu, dove non riusciamo a capire come ebola si stia diffondendo. Ricostruire la catena di contagio è pressoché impossibile, perché è molto alto il numero di persone di cui non sappiamo come abbiano contratto ebola”. Nell’ultimo mese i contagi nelle provincie del Nord Kivu e di Ituri sono saliti da 1.680 a 2.168, quasi 500 malati in più. Nel mese precedente invece i contagi erano stati circa 400: ebola quindi sta accelerando, e la conta dei morti ha raggiunto quota 1.449.

Un problema politico

Gran parte del problema è la situazione travagliata del Nord Kivu, da decenni teatro di violenze e con un milione di rifugiati interni. La popolazione locale ha una pessima percezione del sistema di contrasto a ebola. “Muoiono da 25 anni per mille altre ragioni, tra cui la malaria – spiega Segoni – e oggi vedono tutta questa struttura mettersi in moto e si interrogano: perché dovremmo credere che oggi questi siano interessati al nostro benessere?”. Per venire incontro ai timori delle persone, l’Oms aveva annunciato un piano di estensione delle vaccinazioni fino al terzo grado di contatto, ovvero contatti di contatti di contatti di malati. “Di queste raccomandazioni finora non è ancora stato fatto niente – lamenta Segoni – speriamo almeno che il piano venga avviato a fine mese”. Inoltre i conflitti armati tra gruppi ribelli ed esercito regolare indeboliscono il sistema sanitario, a volte proprio colpito da attacchi diretti. “Lavorare qui è una sfida”, continua Segoni. “Quando i gruppi armati hanno attaccato la città di Beni, abbiamo osservato, di conseguenza, un aumento dei casi di ebola. Fatalmente in quei momenti e in certe aree della regione è difficile intervenire”.

Come affrontare l’urgenza

Nel frattempo, l’Oms sta discutendo se dichiarare ebola urgenza sanitaria globale. “Per noi – prosegue l’esperto Msf – non è fondamentale dichiarare l’urgenza. La questione non è infatti la quantità di mezzi, quanto la qualità: dobbiamo rivedere le strategie di risposta altrimenti i malati continueranno a nascondersi o scappare”. Per Msf, che lavora sulle città di Lubero, Kayna e Beni, la soluzione è quella di passare da un modello di intervento verticale e tutto concentrato su ebola a un modello orizzontale che riguardi anche le altre urgenze sanitarie della popolazione. “Dobbiamo sostenere gli ospedali e gli ambulatori. Primo, per isolarli da possibili infezioni ed evitare che diventino dei focolai. E poi perché è un vantaggio anche per i malati: quando si ammalano, infatti, la prima cosa che fanno è andare in un normale ambulatorio e non in un centro specializzato anti ebola”.

Crediti immagine: Oms

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