Ebola può colpire in tanti modi diversi

L’infermiera spagnola colpita dal virus dell’ebola non mostra più segni della presenza del virus nel sangue. Sintomi di una parziale ripresa dalla malattia, anche se non si può ancora dire con certezza che la paziente sia del tutto guarita. Al di là dei problemi fisici che ancora affliggono l’infermiera – come una brutta infezione ai polmoni – la donna dovrà ancora rimanere sotto osservazione per controllare l’andamento della carica virale ed esser certi che ebola non ricompaia. Ma i risultati dei tre test eseguiti sulla paziente fanno di certo ben sperare, mostrando una riduzione del virus fino a renderlo irrivelabile.

Questo, secondo gli esperti, significa sostanzialmente che la donna – trattata con siero di anticorpi estratti da sopravvissuti al virus e antivirali – ha cominciato a montare una risposta immunitaria tale da rivelare ed eliminare eventuali particelle virali circolanti. Qualcosa che può accadere anche rapidamente in alcune persone, tanto che il virus non riesce neanche a manifestarsi. E tutto questo non fa che sottolineare sia l’estrema eterogeneità con cui ognuno risponde al virus sia quella con cuiebola può colpire (ed uccidere), nonché ricordare che stiamo parlando di un virus conosciuto solo dal 1976 e che finora era comparso per lo più solo in alcuni villaggi rurali africani.

Per le infezioni da ebola potrebbero di fatto esistere pazienti asintomatici che non sviluppano mai sintomi, non diventano contagiosi e si riprendono di fatto senza sapere di aver avuto la malattia, come racconta il Washington Post. Casi che, secondo gli esperti, presumibilmente hanno poche particelle virali, per poco tempo e che riescono a combattere da soli, eliminandole dal circolo sanguigno e da altri fluidi biologici (e con questo il rischio di contagio). In altri ancora la febbre – uno dei sintomi distintivi della malattia – non compare, mentre alcune volte i pazienti sviluppano una enorme carica virale, tanto che una singola goccia di sangue potrebbe contenere milioni di particelle patogene, uccidendo il paziente. E questo è quello che starebbe accadendo in Africa.

Infatti secondo quanto racconta Peter Jahrling, esperto di ebola per il National Institute of Allergy and Infectious Diseases, i test effettuati sui pazienti africani avrebbero mostrato grosse cariche virali. Questo – malgrado le incertezze sui test stessi – suggerirebbe che il ceppo che si è diffuso in Africa produce un’insolita alta carica virale e che per questo si accumula di più nel sangue, peggiorando i sintomi aumentando il rischio di contagio. Anche se, che le cose in Africa stiano esattamente così, non è certo.

In ogni caso correlare la carica virale con la comparsa dei sintomi e quindi con il rischio contagio non è scontato: in molti casi i sintomi compaiono prima che la carica virale sia elevata, e al momento si possono solo fare delle ipotesi, continua Daniel Bausch, della University. “Pensiamo a una curva a campana a partire dal momento dell’infezione (con il virus a zero), e quindi con aumento della replicazione del virus al top della curva, circa 20 giorni più tardi, quando vi è un elevato livello di virus e la persona è gravemente malata. Forse è intorno all’ottavo/decimo giorno (nel consueto periodo di incubazione), che una persona inizia a diventare sintomatica (e contagiosa, Nda)”.

Via: Wired.it
Credits immagine:European Commission DG ECHO/Flickr CC

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