Ebola: speranze dal siero sperimentale

I numeri e la geografia dell’epidemia di ebola che ha colpito l’Africa continuano a far paura. Dopo la segnalazione di nuovi casi in Congo (sebbene qui il contagio sarebbe dovuto a un diverso ceppo diverso da quello che si è abbattuto sull’Africa occidentale), arriva la conferma anche di un caso in Senegal e si teme anche in Europa, per una possibile infezione in Svezia. E con le morti ormai salite a oltre 1.500 accelera la ricerca a una cura per ebola, che passa anche dall’Italia.

Questa settimana, come annunciato pochi giorni fa, dovrebbero infatti prendere il via le procedure per cominciare i trial clinici su un vaccino sperimentale per ebola su volontari sani, negli Usa e in Gran Bretagna. Vaccino targato GlaxoSmithKline e che verrà prodotto a Pomezia, negli stabilimenti di Okairos/Advent, presso l’Irbm Science Park. All’Adnkronos, il ceo Okairos Riccardo Cortese ha infatti spiegato: “Siamo gli unici in grado di produrlo. Lo realizzeremo e lo invieremo, via aerea in contenitori refrigerati e controllati, negli Usa e dove sarà necessario. Abbiamo lavorato 5 anni a questo vaccino e quando abbiamo capito che era maturo per poter essere testato sugli animali, ci siamo rivolti all’unico laboratorio al mondo dove è possibile fare esperimenti con il virus ebola, visto che in Europa non si può fare”.

Ma non c’è solo il vaccino. Nuove promesse nella lotta ad ebola arrivano anche dal farmaco sperimentale Zmapp, quello usato per trattare i due americani infettati dal virus, poi guariti. Sebbene al momento non sia affatto possibile sostenere con certezza che sia stato proprio il farmaco a far guarire gli statunitensi, dati promettenti sull’efficacia del medicinale arrivano da uno studio appena pubblicato su Nature.

Come raccontano infatti gli autori, la combinazione di anticorpi monoclonali contenuta in Zmapp (di questo si tratta) si è mostrata completamente efficace nel salvare dei macachi dalla malattia. Completamente significa che tutti e 18 gli animali trattati col farmaco  (tre dosi intervallate), somministrato anche cinque giorni dopo l’infezione, sono sopravvissuti al virus. Il trattamento infatti è stato in grado di far regredire i sintomi tipici della malattia, quali rush ed emorragie.

Sebbene il ceppo usato per infettare i macachi sia diverso da quello responsabile dell’epidemia in Africa occidentale, per gli autori il cocktail di antibiotici testato sarebbe efficacie anche nel bloccare la replicazione del ceppo così virulento. Ma la cautela resta: se infatti la guarigione dei due americani farebbe ben sperare la morte di altre due persone, che avevamo comunque ricevuto Zmapp, lascia ancora molti dubbi sul reale potenziale del farmaco, come ricorda anche la Bbc.

Via: Wired.it

Credits immagine: European Commission DG ECHO/Flickr

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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