Ecco gli effetti che il caldo estremo ha sugli animali selvatici

Vincent van Zalinge / Unsplash

Le ondate di caldo estremo non costituiscono una minaccia solo per gli esseri umani ma anche per le specie selvatiche. A ricordarlo è uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università degli Studi di Milano e dell’Università di Padova, in collaborazione con l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), il Cnr-Irsa e la Provincia di Matera. La specie oggetto dello studio è un rapace caratteristico delle zone mediterranee, il falco grillaio (Falco naumanni), di cui i ricercatori hanno esaminato le capacità riproduttive durante i mesi più caldi del 2021 e del 2022. I risultati sono stati recentemente pubblicati su Global Change Biology.


Caldo estremo, come proteggere gli animali domestici e quelli selvatici


Il falco grillaio

Matera ospita una delle maggiori colonie riproduttive mondiali di questa specie, con circa un migliaio di coppie nidificanti. Si tratta di un piccolo rapace migratore, la cui popolazione ha subito un drastico declino nel corso del secolo scorso, dovuto soprattutto all’intensificazione agricola e a episodi di siccità che hanno interessato alcune regioni dell’Africa subsahariana nelle quali trascorre l’inverno. Proprio per questo motivo è stato inserito nella lista delle specie tutelate dalla Direttiva Uccelli, approvata nel 1979 dalla Commissione europea e successivamente integrata con nuove direttive e decreti, e che ha come obiettivo quello di proteggere le popolazioni e gli habitat degli uccelli selvatici europei. Nelle regioni mediterranee, il falco grillaio nidifica soprattutto nelle aree urbane, ad esempio in cavità che trova all’interno di edifici, monumenti e pareti rocciose, ma anche all’interno di cassette nido posizionate appositamente dai ricercatori per studiarne l’ecologia e il comportamento riproduttivo, e per favorirne appunto la conservazione.

Ombreggiare le cassette nido

Nel contesto del presente studio, l’obiettivo del gruppo di ricerca era quello di quantificare l’effetto che l’esposizione a ondate di calore intense e prolungate può avere sul successo riproduttivo della specie. La ricerca è stata condotta a Matera nei mesi di giugno 2021 e 2022, periodo durante il quale si sono registrate condizioni di caldo estremo, con temperature superiori ai 37°C per più giorni consecutivi. Nel dettaglio, i ricercatori hanno provato a rendere più fresche alcune delle cassette nido, semplicemente assicurandosi che fossero sufficientemente ombreggiate. Questo ha permesso di abbassarne la temperatura interna di circa 4°C rispetto a quelle non ombreggiate. I risultati sono chiari: solo il 33% circa delle uova deposte all’interno delle cassette non ombreggiate ha dato vita a pulcini sani, in grado successivamente di spiccare il volo. Al contrario, per le uova deposte all’interno delle cassette più fresche questo valore si è aggirato attorno al 70%. “Questi risultati evidenziano come fenomeni di temperature estreme, in passato estremamente rari e in alcuni casi mai registrati prima, possano avere effetti profondi e molto rapidi sulle popolazioni di animali selvatici”, spiega Diego Rubolini dell’Università Statale di Milano.

Non solo, i pulcini nati nelle cassette più fresche hanno avuto una probabilità nettamente maggiore rispetto agli altri di sopravvivere alle giornate più calde, quelle per cui la temperatura interna delle cassette nido non ombreggiate ha superato i 44°C. “Questi risultati – conclude Andrea Pilastro, professore presso l’Università di Padova – suggeriscono anche che limitati accorgimenti nella progettazione e costruzione di strutture destinate ad ospitare animali selvatici, come un incremento dell’isolamento termico delle cassette nido, debbano essere attentamente considerati in quanto possono favorire in maniera significativa il successo dei progetti di conservazione in uno scenario di riscaldamento globale”.

Via Wired.it

Crediti immagine: Vincent van Zalinge / Unsplash