Ecco la galassia più lontana mai osservata

Quasi un miliardo di anni. Certamente un’infinità rispetto alle scale temporali cui siamo abituati, ma poco più di un attimo se confrontato alla vita dell’Universo. È per questo che la scoperta di z8_GND_5296, la galassia più lontana finora mai vista, identificata dagli scienziati della University of Texas at Austin e della Cornell University, è particolarmente importante: l’oggetto è stato infatti datato a 700 milioni di anni dopo il Big Bang e si rivelerà quindi fondamentale per la comprensione delle dinamiche che hanno regolato l’evoluzione dell’Universo dopo la grande esplosione e lo hanno portato a diventare così come lo conosciamo oggi.

In astrofisica, i concetti di tempo e distanza sono intrinsecamente collegati. Questo perché la luce emessa dalle galassie viaggia a velocità finita, e dunque raggiunge la Terra con un ritardo temporale ben definito (infatti le distanze si misurano in anni luce, l’equivalente dello spazio percorso dalla luce in un anno): più lontano è un oggetto, più vecchia è la sua luce che ci arriva. La scoperta di oggetti distanti, dunque, è una sorta di macchina del tempo, che permette agli scienziati di sondare in profondità il passato dell’Universo. Per questo motivo, negli scorsi anni, gli astrofisici hanno compiuto sforzi intensi per cercare di guardare sempre più lontano nel cosmo, estendendo con successo la portata spaziale dei telescopi.

C’è dell’altro. L’Universo non è statico, ma si sta espandendo: la luce proveniente da lontano, dunque, subisce il cosiddetto redshift, un fenomeno per cui la frequenza della radiazione osservata appare più bassa rispetto a quella effettivamente emessa (l’equivalente di quello che accade, per esempio, con le sirene di un’ambulanza che si avvicina o si allontana). Analizzando lo spettro della luce che arriva ai telescopi, dunque, gli scienziati sono anche in grado di capire la velocità di espansione del cosmo. Per identificare z8_GND_5296, i ricercatori hanno utilizzato una nuova generazione di telecamere a infrarossi, le cosiddette Mosfire, in grado di acquisire spettri elettromagnetici in un ampio regime di frequenze: con questo strumento, hanno analizzato 43 galassie ad alto redshift, candidate a essere oggetti celesti particolarmente lontani e precedentemente individuate dal Cosmic Assembly Near-infrared Deep Extragalactic Legacy Survey (Candels) sullo Hubble Space Telescope

La ricerca ha dato buoni frutti: lo spettro di una delle 43, infatti, ha mostrato un redshift particolarmente accentuato e una serie di altre caratteristiche notevoli e inattese. z8_GND_5296 è in grado di formare nuove stelle a una velocità 100 volte superiore rispetto a quella della Via Lattea – una sorta di incubatore stellare iperproduttivo. Come hanno raccontato gli autori dello studio, pubblicato su Nature, questo implica che l’Universo primordiale potrebbe aver ospitato siti di formazione stellare molto più numerosi di quanto si credesse finora. Per saperne di più, gli scienziati continueranno a esaminare i dati esistenti – d’altronde ci sono ancora 42 galassie candidate – e a sondare il cielo in cerca di oggetti celesti altrettanto vecchi. O, magari, anche di più.

Riferimenti: Nature doi: 10.1038/nature12657

Credits immagine: V, Tilvi (Texas A&M), S. Finkelstein (UT Austin), the CANDELS team, and HST/NASA

Via: Wired.it

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