Eurorivoluzione

    Il timore di un bug, di un improvviso blocco del sistema, di un errore umano nell’inserimento dei dati nei terminali. Sono state queste le apprensioni comuni al personale di tutte le banche europee durante il “changeover weekend”, ossia il periodo compreso tra il 31 dicembre e il 4 gennaio, primo giorno di vita del Sistema Europeo delle Banche Centrali (Sebc) e debutto dell’euro nei mercati monetari. Una task-force di circa 30.000 uomini è al lavoro da mesi nei rispettivi centri di elaborazione dati per realizzare il piano operativo studiato dalle banche centrali dei paesi firmatari dell’accordo di Maastricht, per la migrazione finale all’euro dei settori bancari e finanziari.

    Questo piano si divide in tre fasi. La prima, detta di pre-conversione, è durata sino al 31 dicembre: è stata quella in cui gli istituti hanno apportato eventuali modifiche dei pacchetti software acquistati o sviluppati internamente, al fine di avere applicazioni in grado di gestire contemporaneamente ogni transazione monetaria nella divisa nazionale e in euro (condizione, questa, necessaria fino al 31.12.2001). La seconda fase, detta di conversione, è iniziata il 31 dicembre con la comunicazione ufficiale dei tassi di cambio irrevocabili delle 11 monete dei paesi partecipanti e si è chiusa il 4 gennaio, data di riapertura dei mercati, nella quale sono stati aggiornati in sole 87 ore gli archivi storici dei database elettronici, rendendoli inoltre capaci di trattare criteri di arrotondamento e decimalizzazione dei campi. Infine la terza, detta di post-conversione, in atto fino alla metà di gennaio del 1999: in questo lasso di tempo viene mantenuto attivo il monitoraggio dell’attività dei sistemi informatici allo scopo di individuare e risolvere tempestivamente eventuali disfunzioni.

    Durante queste procedure di riconversione, che costringono ora i software delle banche a parlare oltre al proprio idioma monetario nazionale la “lingua dell’euro”, sono state effettuate migliaia di prove e simulazioni: tra la sede della Banca d’Italia e la Banca Centrale d’Europa (Bce) – punto nevralgico di questa neonata ragnatela informatica – tra Roma e le altre undici banche centrali, tra ognuna di queste e le proprie Reti Nazionali Interbancarie. Prove condotte ora contemporaneamente, ora separatamente, ora trasversalmente, per ridurre al minimo il rischio di un crash.

    Vi immaginate cosa sarebbe accaduto se ci fosse stato un blocco dei sistemi informatici al momento della riapertura dei mercati finanziari? Oppure se fossero sorti problemi di collegamento tra le banche tali da impedire ad esse di rifornirsi in tempo reale di liquidità? Si sarebbe probabilmente innestata una reazione a catena potenzialmente in grado di paralizzare qualunque azione finanziaria richiesta da un utente, anche la richiesta di un semplicissimo estratto conto. Un vero e proprio incubo, come l’ha definito recentemente Fabrizio Saccomanni, direttore centrale per le attività estere della Banca d’Italia, per chi fa dell’efficienza e della tempestività d’intervento i propri concetti guida. Fortunatamente non è accaduto nulla di simile. Nonostante si siano trattate nell’ultimo fine settimana del 1998, secondo le informazioni diffuse dall’Associazione Bancaria Italiana (Abi), oltre 30 milioni di posizioni per un controvalore di due milioni di miliardi di lire, il sistema creditizio italiano ha superato senza intoppi l’euro-day after.

    Ma non è finita. Se attraverso il resoconto dell’esperienza di questi pionieri della moneta unica, alle prese con la riconversione dei propri sistemi applicativi all’euro, avete pensato di trovarvi dinanzi ad una impresa titanica, immaginate cosa avverrà nel triennio 1999-2001, il periodo stimato per i necessari adeguamenti dei sistemi informatici in uso nella pubblica amministrazione italiana alla moneta unica. Sì, perché insieme all’adattamento dei diversi software all’euro, considerato dal Governo italiano come un intervento di manutenzione evolutiva, questi dovranno essere revisionati anche per il famoso problema del millenium bug – in parole povere l’incapacità dei computer e applicazioni più datate di conteggiare date dopo il 2000 – che in una straordinaria coincidenza temporale sembrano essere capaci insieme di mettere in ginocchio l’intera amministrazione pubblica.

    Per fronteggiare questa pericolosa eventualità il Ministero del Tesoro, il Comitato Euro costituito presso di esso, e l’Autorità per l’Informatizzazione della Pubblica Amministrazione (Aipa) hanno predisposto, fin dal luglio 1997, un documento volto in prima istanza a favorire il censimento dell’hardware e dei pacchetti applicativi gestiti dalla PA, per poi individuare la gamma degli interventi possibili e la stima dei relativi costi. Già dal 16 dicembre del 1998 poi è stato stabilito nel piano presentato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Franco Bassanini, dal ministro per la Funzione Pubblica, Angelo Piazza, e dal presidente dell’Authority per l’informatica Guido Rey, un investimento di oltre 95 miliardi per l’adeguamento dei servizi informatici della PA al 2000 e all’introduzione dell’euro, ed uno stanziamento triennale complessivo rivolto all’informatizzazione della pubblica amministrazione di circa 11.700 miliardi.

    I principali progetti di questo piano riguardano la realizzazione di un nuovo sistema unitario per la gestione dei flussi documentali (che ha lo scopo di realizzare una maggiore trasparenza amministrativa), un sistema informativo unitario del personale, un sistema integrato delle anagrafi ed uno di interscambio catasto-comuni. E per fare un esempio molto concreto: il varo della cosiddetta carta d’identità magnetica.

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