Pierre RigoloutCorea del Nord. Fame e atomicaGuerini e Associati, 2004pp. 134, euro 12,50 Corea del Nord, anno 2004. Il “muro di bambù” lungo il 38° parallelo separa questa parte della penisola coreana dalla Corea del Sud, non solo geograficamente, ma come uno spartiacque che segna il confine tra passato e futuro, tra il medioevo e il moderno. Se nel Sud tutto volge verso l’evoluzione, nel Nord troviamo propaganda imperante, fame, campi di concentramento, esecuzioni pubbliche, traffici di ogni genere. Da qui la vicina Cina prende, paradossalmente, le sembianze di un terra di libertà. Il volume “Corea del Nord. Fame e atomica” di Pierre Rigolout, racconta in modo agile e documentato la storia e l’attualità di un paese nel quale si consuma una tragedia di enormi proporzioni, del tutto ignorata. Un libro di testimonianza, ma anche un mezzo per smuovere le coscienze. Il regime di Pyongyang, il cosiddetto “regno eremita”, fondato da Kim Jong II, spende da un quarto a un terzo del proprio prodotto nazionale lordo per la formazione di eserciti (i soldati hanno raggiunto quota un milione), per finanziare grandi progetti missilistici e programmi militari per sviluppare armi di distruzione di massa. Risultato: cinque centrali atomiche, un impianto di uranio impoverito, due di produzione di missili e un’area per test missilistici. Ma mentre il regime pensa ad armarsi, 22 milioni di nordcoreani sono ridotti alla fame. Tra i due e i tre milioni di essi, cioè un decimo della popolazione totale, sono morti negli ultimi dieci anni, secondo le organizzazioni non governative. Stranamente, nonostante sia uno stato di terrore, la Corea del Nord sopravvive grazie agli aiuti internazionali diretti alla popolazione. “I confini nordcoreani sono impenetrabili”, si legge nella prefazione firmata da Emma Bonino, “sono i benvenuti gli aiuti alimentari forniti dall’Onu tramite il World Food Programme (Wfp) che sfama sette milioni di nordcoreani nonostante le gravi limitazioni delle autorità di Pyongyang che consentono l’accesso agli operatori dell’Onu solo in determinate zone”. In Corea del Nord non si muore solo di fame: possono essere letali anche un’influenza non curata, un’appendicite, un’enterite dovuta al pessimo stato della rete dell’acqua potabile e il freddo. Gli handicappati vengono rinchiusi e sterilizzati e chi è accusato di qualche reato, senza condanne né processi, viene rinchiuso nei campi ordinari. Per questi motivi, da qui la Cina sembra quasi un Eldorado, l’unica possibilità per sopravvivere: ogni anno circa 200 mila nordcoreani attraversano il fiume Tumen, ma una volta dall’altra parte sono costretti di nuovo a nascondersi e scappare. Se scoperti, infatti, vengono rinchiusi in campi di detenzione cinesi fino al loro rimpatrio, nonostante la Convenzione dell’Onu ratificata dalla Cina preveda lo status di rifugiati politici a coloro che in patria subiscono persecuzioni. Cosa fare allora per risolvere la questione nordcoreana? L’autore conclude il suo libro facendo il punto sui vari accordi prospettati negli ultimi anni ma mai realizzati e sull’impegno degli Stati, lasciandoci con un interrogativo: ci sarà per la popolazione nordcoreana un domani di cambiamento?
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