Ambiente

Far resuscitare le piante, grazie ai semi

Quando si parla di de-estinzione pensiamo subito ad un mammut. Ma la de-estinzione non è solamente una questione animale, anzi: riguarda anche le piante, grazie soprattutto alla capacità di (alcuni) semi di sopravvivere a lungo, fino a millenni.

La resurrezione delle piante, dagli erbari

Chi ha letto “L’incredibile viaggio delle piante” di Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio internazionale di Neurobiologia Vegetale e prolifico divulgatore di storie vegetali, sarà meno stupito di sentire associare il termine de-estinzione alle piante. Mancuso racconta infatti di casi eccezionali in cui alcune piante – che chiama “viaggiatori del tempo” – sono tornate dal passato, grazie agli sforzi di ricercatori che hanno fatto germogliare semi antichissimi o rigenerato tessuti placentari vecchi di millenni, da resti rinvenuti da scavi, archivi storici o dal permafrost. Casi eccezionali che dimostrano l’enorme potenziale delle piante di sopravvivere a lungo. Anche quando dimenticate o credute estinte. Oggi a tornare sul tema è un interessante lavoro coordinato dall’Università degli Studi Roma Tre, che scommette sulla possibilità di recuperare piante estinte sfruttando i semi contenuti negli erbari.


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“Gli erbari sono collezioni di piante essiccate a scopo di ricerca e documentazione di cui esistono milioni di esemplari di tutte le specie note – racconta a Wired.it Thomas Abeli, docente di biologia della conservazione dell’Università Roma Tre – in passato alcuni hanno fatto esperimenti di germinazione dei semi contenuti negli erbari anche con successo ma non di piante estinte o in pericolo di estinzione. La nostra intuizione è quella di utilizzare i semi casualmente contenuti negli erbari a scopo di recuperare specie e popolazioni scomparse. Nelle piante infatti la possibilità di recuperare specie che non esistono più è legata alla longevità di alcuni semi o embrioni: è stata anche coltivata una pianta da un seme di oltre 10.000 anni congelato nel permafrost”. Partendo da questo, Abeli e colleghi hanno compilato una lista – la prima come spiegano sulle pagine di Nature Plants – di piante candidate alla de-estinzione grazie alla disponibilità di sfruttare i semi contenuti negli erbari. Focalizzandosi, precisa il professore, sulle piante che si sono estinte per cause antropiche. 

Parenti di fagioli e piselli estinti

Non basta però la presenza di semi per dichiarare una pianta pronta a essere de-estinta. Ci sono alcuni caratteri che aiutano a capire quali hanno più possibilità di essere riportate in vita di altre. In primis, spiega Abeli, la capacità dei semi di sopportare la disidratazione, perché è questa la condizione in cui si trovano gli erbari: “Non tutte le piante producono semi che tollerano la disidratazione, cioè non possono essere seccati. Un altro parametro da considerare è la longevità dei semi, che dipende da vari fattori intrinseci e varia da specie a specie. Infine, va considerata l’età dei campioni d’erbario disponibili, in quanto più un campione è vecchio rispetto alla longevità del semi, minori sono le possibilità di trovarvi dei semi vivi”. I ricercatori hanno utilizzato questi parametri per elaborare una sorta di punteggio con cui assegnare alle diverse piante estinte la possibilità di essere rigenerate. In cima alla lista spiccano esemplari delle famiglie delle Ericaceae, Fabaceae – la stessa famiglia di fagioli e piselli – Malvaceae e Solanaceae – parenti patate e pomodori invece – ma sono in tutto circa 160 le specie estinte con semi disponibili per una possibile de-estinzione. “Di queste specie estinte però non sappiamo quasi nulla perché non vi è stata l’opportunità di studiarle e nessuno sa se abbiamo proprietà utili – puntualizza Abeli – E in ogni caso dobbiamo tenere a mente che ogni specie estinta è il pezzo mancante di un puzzle: l’ecosistema da cui sono scomparse, che non può funzionare al meglio senza tutti i suoi pezzi”.

Le sfide della de-estinzione: quando muore una pianta?

Il lavoro di Abeli è il primo passo nel tentativo di parlare in maniera più pragmatica di de-estinzione anche per le piante. Un conto infatti è stimare il potenziale di resurrezione delle piante, altro testarlo in laboratorio. Tanto che ad oggi, riconosce lo stesso Abeli, le discussioni intorno alle de-estinzioni sono soprattutto teoriche. Anche per tutte le sfide che rappresentano, non da ultimo etiche. Se infatti il tentativo è quello di contrastare la perdita di biodiversità vegetale – accanto a quelle già perse, i ricercatori stimano che tra il 20 e il 40% delle piante siano oggi a rischio estinzione – riportare in vita piante ormai andate potrebbe esser costoso e non privo di risvolti etici, ammette Abeli: “Dovremmo scegliere se dedicare risorse e tempo a questo o alla conservazione delle specie esistenti e minacciate”.

È fuor di dubbio però che riportare in vita una pianta sia un esercizio di biologia vegetale interessante. “Da un punto di vista tecnico e tecnologico le de-estinzioni rappresentano sfide importanti che potrebbero contribuire all’avanzamento del campo delle biotecnologie vegetali, della biologia, della germinazione dei semi”, conclude il ricercatore. Utile anche a settare confini più precisi al concetto di estinzione:“Nelle piante – scrivono gli autori – potrebbe avvenire non quando muore l’ultimo individuo, ma piuttosto quando muore l’ultimo seme”. 

Via: Wired.it

Foto copertina: via Università degli Studi Roma Tre

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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