Categorie: Società

Farmaci, beni pubblici

Abbiamo intervistato Nicoletta Dentico, giornalista e membro del gruppo sulle malattie dimenticate di Medici senza Frontiere che, insieme a Nathan Ford, ha appena pubblicato sulla rivista ad accesso libero “Plos medicine” la proposta per un trattato internazionale che regoli la ricerca e sviluppo in campo farmaceutico e sanitario. L’intervista è disponibile anche in audio sul sito di Amisnet, con la cui collaborazione è stata realizzata.Cosa chiede questo trattato?“Si tratta di una proposta alternativa all’attuale regime che regola la ricerca e la produzione di farmaci e vaccini diagnostici, ovvero quella regolata dalla proprietà intellettuale. Si prende atto che questo accordo sulla proprietà intellettuale – che dovrebbe garantire e favorire l’innovazione in campo farmaceutico – in realtà segna molto il passo. In maniera drammatica per i paesi del sud del mondo in cui la maggior parte dei pazienti sono fuori dal mercato, ma comincia a presentare pesanti inefficienze e incongruenze anche per i pazienti ricchi, per quanti hanno potere d’acquisto. Il trattato chiede di stabilire un nuovo modello, una nuova regola del gioco per garantire un’innovazione medica e nel campo farmaceutico che non sia solo tecnologica ma prevalentemente terapeutica, basata cioè sui bisogni della gente”.Come verrebbe finanziato un trattato del genere? Dove trovare le risorse affinché si formi un circolo virtuoso in questo campo?“Vorremmo puntare nuovamente a una responsabilità pubblica. I governi lavorano molto sulla ricerca di base, ne finanziano la gran parte ma poi non seguono il lungo cammino della ricerca, non esercitano il loro controllo e perdono ogni capacità di governare la ricerca clinica, la produzione del farmaco e la sorveglianza farmacologica. Ci sono molecole che sono state identificate con la ricerca finanziata dai governi che sono oggi nei cassetti delle case farmaceutiche e sono lì perché curano malattie che non pagano (di cui cioè sono malate poche persone o persone che non possono permettersi di pagare i medicinali, NdR). Sarebbe opportuno che i governi recuperassero queste molecole investendo una quota dei loro budget della salute nei confronti della ricerca. In questo modo la ricerca non sarebbe più appropriazione da parte di attori privati incontrollabili ma tornerebbe a essere un bene pubblico gestito secondo regole del diritto, secondo regole di trasparenza nazionale e internazionale”.Però sappiamo anche che l’accesso ai farmaci è ora un problema scottante, e che l’attuale sistema di proprietà intellettuale è stato spesso un ostacolo per i paesi più poveri e più bisognosi di medicine. È realmente possibile superare questa barriera?“Gli strumenti tecnologici oggi a nostra disposizione e la realtà sul campo – l’inefficienza globale dovuta a regime di monopoli per cui ci si appropria di una molecola per 20 anni – impongono una logica di condivisione. È abbastanza fuori dal mondo immaginare che sia a solo appannaggio di scienziati del nord produrre ricerca. Ci sono molti scienziati del sud che con un modello più agile – quello del libero accesso – potrebbero intervenire e dare un contributo importante per rendere la ricerca scientifica più vicina ai pazienti. Ci sono molte tecnologie efficienti ma che servono poco ai bisogni dei pazienti. È ovvio che si tratta di un meccanismo complesso e a ogni paese dovrebbero essere date diverse opportunità, ci vuole anche molta fantasia: i dettagli li stiamo discutendo e costruendo in corso d’opera. Abbiamo già visto però con altri trattati internazionali, come quello della Fao sulle sementi, che è possibile stabilire dei principi sui beni pubblici laddove c’è il rischio di una indebita appropriazione”.

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