Fecondazione esterologa

Spagna, Svizzera, Belgio, Austria, Slovenia. Sono queste le mete più ambite del turismo procreativo. Scelte dai nostri connazionali per le possibilità che offrono dal momento che “le restrizioni imposte dall’attuale normativa hanno reso la procreazione medicalmente assistita una strada fortemente in salita, ma la straordinaria determinazione delle donne non conosce né ostacoli né confini”, ha commentato Chiara Fornasiero, la biologa che ha coordinato l’Osservatorio sul turismo procreativo i cui risultati sono stati presentati mercoledì 25 maggio scorso a Roma.

L’indagine, svolta in collaborazione con Cecos Italia e il circolo della stampa di Milano, ha preso in considerazione 53 centri europei e non, tracciando così una mappa di questo fenomeno. La rilevazione ha permesso di individuare nel periodo febbraio 2004- febbraio 2005 la presenza di 3610 italiani in questi centri. L’anno precedente erano stati 1315. In cima alla classifica la Spagna dove si recano il 32 per cento degli italiani che decidono di rivolgersi oltre confine. “In questo paese”, spiega Fornasiero, “si può accedere a ogni tipo di tecnica di Pma, compresa l’ovodonazione. Che qui è regolata come negli Stati Uniti: le donne che decidono di donare un loro ovocita ricevono un compenso economico.

Negli altri paesi europei, invece, la donna non viene retribuita e deve essere in trattamento con la Pma; la donazione avviene all’interno di una condivisione dei propri ovuli con un’altra donna (egg sharing)”. Al secondo posto la Svizzera italiana con il 26 per cento delle presenze, preferita per la vicinanza e per la possibilità di parlare l’italiano. “Nel Canton Ticino l’ovodonazione non è permessa ma quella di sperma si”, spiega la biologa. In Belgio la “Free University” di Bruxelles fa registrare almeno 10-15 coppie italiane a settimana, il 16 per cento del totale di quelle che vanno nei centri esteri. “Le liste di attesa continuano ad allungarsi e ormai sono arrivate a tre mesi”, spiega Fornasiero. A bloccare invece il turismo di questo genere in Gran Bretagna e negli Stati Uniti sono i prezzi: negli Usa in media il tariffario è almeno il doppio di quello europeo.

Come fa una coppia italiana a scegliere dove andare? “Principalmente grazie al passaparola”, spiega la ricercatrice. “In media chi ricorre alla Pma ha pochi strumenti per giudicare la struttura a cui si affida e si deve spesso basare sulle indicazioni raccolte da terzi”. E perché si va all’estero? Lo studio ha rivolto questa domanda ai medici dei centri monitorati. Al primo posto per la possibilità di congelare gli embrioni, oggi vietata in Italia dalla legge 40. Anche la mancanza di restrizioni circa il numero di ovuli da fecondare è uno dei motivi per cui le coppie espatriano. In Italia infatti si è obbligati a fecondare tre ovociti e a impiantarli poi tutti nell’utero della donna. È il cosiddetto “caso semplice”, ha spiegato Carlo Flamigni, ordinario di Ginecologi e Ostetricia all’Università di Bologna e padre della Pma in Italia, “pratica che ormai da anni non incontra più il favore della comunità medica impegnata su questo fronte perché si è dimostrato meno efficace e sicuro”. Per testimoniarlo Flamigni, insieme ad Andrea Borini e Giovanni Coticchio, ginecologi alla Tecnobios Procreazione, hanno chiesto cosa pensassero del “caso semplice” a 25 tra i maggiori esperti mondiali di Pma. Le risposte, presentate nel corso dell’incontro romano, non lasciano spazio a dubbi: tutti esprimono una totale bocciatura. Per scappare a questo anacronismo scientifico e all’impossibilità, per esempio, di eseguire una diagnosi pre-impianto sugli embrioni, gli italiani quindi vanno all’estero.

Ma quali italiani? Quelli che hanno maggiore disponibilità economica e possibilità di viaggiare e informarsi. “Una coppia talassemica che ne ha la possibilità andrà in Spagna a cercare un figlio sano, mentre un’altra che non può sostenere le spese del viaggio dovrà cercare di concepire un bambino spontaneamente per poi scoprire se è malato con l’amniocentesi. E scegliere così eventualmente di abortire”, ha spiegato Andrea Borini. Si rischia così che per abolire un fantomatico “far west” della provetta italiano non si faccia altro che alimentare la fuga di coppie a cui le diverse nazioni offrono condizioni sanitarie e di appoggio psicologico non sempre ottimali. “L’Italia sta di fatto demandando ad altre nazioni la regolamentazione del settore. Il turismo sanitario non è certo indice di progresso”, conclude Borini.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here