Fiction, dammi un’idea

    Nel Seicento il viaggio sulla luna di Cyrano De Bergerac non era altro che un’invenzione poetica. E altrettanto improbabile sarà sembrato ai lettori dell’Ottocento il sottomarino Nautilus, descritto da Giulio Verne. Eppure tutto ciò per noi è storia passata e tecnologia reale. E non sono solo questi i casi nei quali la creatività artistica ha anticipato la produzione scientifica. Così l’Agenzia spaziale europea ha deciso di attingere all’inventiva sbrigliata della fantascienza per trarne idee spendibili nella ricerca. Come? Bandendo il concorso Clarke-Bradbury per giovani scrittori di fantascienza. La gara fa parte del progetto Itsf (Innovative technologies from science fiction) che, iniziato l’anno scorso, ha già realizzato un’indagine a tappeto della letteratura di fantascienza disponibile, alla ricerca di idee originali che sono diventate o potrebbero presto diventare realtà. Lo studio si è avvalso della collaborazione volontaria di scienziati e di appassionati che hanno passato al setaccio volumi e volumi di science fiction a caccia di idee. Il loro bottino è stato poi esaminato da un comitato di esperti, con risultati inattisi: circa 250 “strane idee” che oggi sono tecnologia vera, soprattutto spaziale. Di robot che atterrano sui pianeti per esplorarli e prendere campioni di roccia (l’Esa ne spedirà uno addirittura su una cometa, ai satelliti in orbita geostazionaria; dalle stazioni orbitanti abitabili, alla comunicazione fra Terra e Spazio; dai razzi per il decollo alle tute speciali degli astronauti. “E ci sono un paio di idee non ancora realizzate per le quali stiamo avviando dei progetti di fattibilità”, annuncia David Raitt, dell’Ufficio per il trasferimento e la promozione della tecnologia dell’Esa, coordinatore dello studio e del concorso. Per esempio le “barche a vela” spinte dal vento solare, descritte nei racconti di Arthur C. Clarke e Clark Ashton Smith, potrebbero essere “varate” nei prossimi anni. Negli Stati Uniti una “navicella” a conca è stata sollevata a 20 metri dal suolo grazie alla spinta della “luce” (in particolare impulsi di laser). E in Europa si sta progettando il prototipo di una vela di 20 metri quadri per futuri voli spaziali. Ancora più concreto è il progetto dell’ascensore spaziale. Partorito dalla mente di uno scienziato russo della fine dell’Ottocento – particolarmente colpito dalla vista della torre Eiffel – l’idea venne riproposta sempre da Clarke negli anni Settanta. Oggi è un’azienda di Seattle, la HighLift System, ad averla presa nuovamente in considerazione. Infatti, grazie ai resistentissimi nanotubi di carbonio, entro una dozzina d’anni potrebbe essere pronto un ascensore abbastanza solido da portare persone e oggetti dal “piano Terra” in orbita (e la cosa potrebbe presentare una notevole riduzione dei costi rispetto ai lanci convenzionali). “Ovviamente la nostra iniziativa non va sopravvalutata”, ci tiene a precisare Riatt. “Alcune situazioni tipiche della fantascienza sono altamente improbabili e non si possono prendere alla lettera”. Per esempio, nelle opere in cui il racconto si fa metaforico: come nel caso di Hal, il robot che si ribella agli umani in “2001, Odissea nello spazio” di Stanley Kubrik, o dello scenario apocalittico di “1984” di George Orwell. “Il nostro obiettivo finale è spingere i giovani a passare dalla fantascienza alla scienza vera”, sottolinea il ricercatore. Tuttavia non si può negare che in molti casi i punti di contatto fra letteratura e scienza siano impressionanti. In particolare nelle opere più datate si trovano idee accantonate all’epoca, perché troppo distanti dalla tecnologia del tempo, che poi si sono rivelate fattibili. E ci potrebbero essere suggerimenti ancora non sfruttati. Infatti, “la fantascienza dà l’opportunità a persone più o meno appassionate di scienza di promuovere le loro idee, in un modo che non sarebbe accettabile all’interno di un processo di valutazione scientifica formale”, conclude Riatt. E rivela che c’è una forma d’intuizione scientifica che prescinde dagli strumenti tecnici e matematici della ricerca e che sembra agire allo stesso modo negli scienziati e in persone creative che non fanno della speculazione scientifica il loro mestiere.

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